«Si dimetta da vicepresidente del Consiglio e Trantino prenda posizione»
Due anni di reclusione e 250 euro di multa per corruzione elettorale. È la pena inflitta in primo grado a Riccardo Pellegrino, consigliere comunale e vicepresidente del senato cittadino perché, secondo l'accusa e la giudice Dora Anastasi che lo ha condannato, nel corso della competizione regionale ha comprato voti al corrispettivo di 50 euro ciascuno. In queste ore la notizia smuove gli animi della maggioranza e delle opposizioni. Delle prime con il solito silenzio assordante. Che per la destra è rumore, perché quando tutto tace nulla tace. Delle seconde con la richiesta di dimissioni in nome della legalità.
Ma la vera notizia è che Pellegrino è ineleggibile. Lo è perché è stato condannato, sebbene con sentenza di primo grado e quindi non definitiva, per aver commesso un reato elettorale. A dirlo a chiare lettere è la disposizione di cui l'articolo 102 del Testo unico delle leggi per la composizione e l'elezione degli organi delle Amministrazioni comunali. La stessa norma sulla base della quale la giudice ha condannato Pellegrino, e in cui si stabilisce che «le condanne per reati elettorali, quando dal giudice viene applicata la pena della reclusione, producono sempre la sospensione dal diritto elettorale e da tutti i pubblici uffici». Nonostante la sentenza sia di primo grado e malgrado la pena sia stata sospesa.
Perché, nel primo caso, la non definitività della sentenza non è condizione ostativa alla sospensione dalla carica derivante dalla condanna; la seconda perché - e a ribadirlo è la stessa norma citata dalla giudice Anastasi - «ai reati elettorali non sono applicabili le disposizioni del codice penale relative alla sospensione condizionale della pena». In altri termini: quest'ultima non può applicarsi alla corruzione elettorale e, conseguentemente, non può applicarsi al caso di Pellegrino. Lo dice la legge, la stessa con cui la giudice con una mano condanna e con l'altra (erroneamente) salva, nella misura in cui applica la sospensione della pena laddove non può essere applicata. Ergo: Pellegrino deve dimettersi da consigliere comunale.
La reazione delle opposizioni, M5s: «Si dimetta da vicepresidente del Consiglio»
«Il consigliere avrà certamente modo di difendersi nei successivi gradi di giudizio e nelle opportune sedi - è la posizione dei consiglieri comunali del Movimento cinque stelle espressa in una nota stampa -, ma non possiamo non stigmatizzare la scelta di affidargli, poco più di due mesi fa, il secondo ruolo più importante a Palazzo degli Elefanti, nonostante la presenza di pesanti accuse a suo carico». Per questo ne chiedono le dimissioni.
La questione ruota attorno all'opportunità politica di continuare a mantenere la poltrona di presidente del Consiglio comunale con una sentenza, sebbene non definitiva, di corruzione. E, ancor prima, la scelta politica del gruppo di Forza Italia, di cui Pellegrino fa parte - quella dei suoi sponsor Antonio Villardita e Marco Falcone -, di sceglierlo per ricoprire quel ruolo con un procedimento penale per corruzione sul groppone. «Motivi di opportunità politica avrebbero suggerito cautela - è la posizione dei cinque stelle -, oltre a un doveroso e necessario intervento da parte dei vertici del suo partito e dell'eletto sindaco Trantino». Per questo il Movimento chiede «le dimissioni dalla carica di vicepresidente» e invita «il sindaco a prendere una chiara posizione in merito».
Una speranza che, probabilmente, si rivelerà vana. Come, del resto, per l'auspicata ma mancata presa di posizione sul caso relativo al presidente di Confindustria Catania Angelo Di Martino, che per vent'anni - stando alla ricostruzione dei collaboratori di giustizia nell'inchiesta Doppio Petto - ha pagato il pizzo al clan Puntina-Pillera. Dopo una settimana di polemiche, però, Di Martino ha deciso di dimettersi e il sindaco continua a non proferire parola. Salvo accennare che non è compito suo proferirla. Nel frattempo Forza Italia, dopo il caso Lombardo, colleziona candidati ineleggibili.