Allora...Quarant'anni fa, il 5 gennaio 1984 moriva ammazzato dalla mafia un signor giornalista. O almeno così continuano a dire. Anche se il figlio, in uno dei tanti eventi commemorativi - o forse era la presentazione di un libro, adesso non ricordo -, ha raccontato che Santapaola da dietro le sbarre gli disse che non era stato lui a ordinarne l'omicidio. Comunque...quarant'anni fa moriva uno di quei giornalisti a cui, a leggere i suoi scritti e ad ascoltare chi li tramanda, non piaceva proprio la cronaca fredda. Quella senza aggettivi. La cronaca senz'anima, senza etica e senza morale a lui proprio non andava giù. E ci doveva mettere un po', forse un bel po' più di un po', di pathos. Ma non credo si sforzasse per farlo. Credo e mi dicono che scriveva come parlava.
Era uno di quei giornalisti a cui non fregava niente delle regole, non interessava il comportamento posato in redazione. Non gli interessavano i toni convenzionali finti e ipocriti di una società in crisi che sa solo fare sorrisetti amari. Che te ne accorgi subito che sono amari. Sono i classici sorrisi da tribunale, quelli che si scambiano gli avvocati non appena varcano l'ingresso di palazzo di giustizia. Quelli che non vorresti fare, ma sei costretto a fare. Esattamente come sei costretto a vestirti da pinguino. E così tutti imbellettati e con i sorrisetti si scambiano cordiali strette di mano. Accennano ammiccamenti e si scambiano complimenti. Ecco, per quello che ho capito, a lui 'ste cose proprio non piacevano. Scansava le polemiche da bar, anche se non disdegnava i pomeriggi seduti al bar con i suoi ragazzi. E di prendere una posizione politica non gliene fregava di meno. Era tolstojano lui. Lo diceva lui stesso. Lo si vede in un film che ci hanno fatto. Un bel film.
Ecco, lui era così. Era un tipo unconvetional, direbbero gli affezionati agli inglesismi. Era uno a cui forse non piacevano gli inglesismi. Stando a quanto ho letto non tollerava le prevaricazioni, l'esercizio del potere in tutte le sue forme. Era uno che non amava i salotti, che non amava gli incontri istituzionali. A lui piaceva raccontare le cose: raccontarle per com'erano. E diceva che la mafia non era nelle piccole botteghe e non era nemmeno nei quartieri. La vera mafia era nelle istituzioni, nelle banche e nelle segrete stanze dei bottoni. Era lì che si esercitava il potere. Ed era lì che c'era la mafia. Ed era la stessa mafia che noi oggi intervistiamo, facendoci pure dire le domande e le risposte. Così ha insegnato a tutti che cos'era la mafia. E noi non lo abbiamo capito. Oppure fingiamo di non capire. Oppure non possiamo capire. Questo si vedrà. Attenzione, mica ce lo ha insegnato solo lui che cos'è la mafia, anche altri. Ma lui scriveva e scriveva e scriveva. Si dimetteva e scriveva. Lo licenziavano e scriveva. Gli buttavano una bomba in redazione e lui scriveva. Un potente lo raggiungeva in redazione, lui lo allontanava con garbo(?), poi andava al mare e, guarda un po', scriveva. Caspita quanto scriveva. Andava al bar con i suoi ragazzi e poi scriveva.
Un giorno ha scritto un pezzo lunghissimo. A leggerlo, però, non ci si stanca. Perché traspare verità da quel pezzo. E non ti puoi stancare della verità. Anche perché noi essere umani non facciamo altro che andare alla ricerca della verità. E, non so voi, ma io se la trovo la verità, lo sento, e mi ci immergo. Oddio, non la sento sempre la verità, a volte non capisco quale sia la verità. Ma in quel pezzo la verità trasuda dalle parole. E non lo dico per piaggeria, nemmeno lo conoscevo io quel giornalista. Lo dico perché è così. E sfido chiunque a dire il contrario.
Ora, in quel pezzo si parlava di quattro personaggi che comandavano Catania. Erano imprenditori e, come direbbe il suo erede, erano dei farabutti. Con quel pezzo, quel giornalista, per raccontarci la verità ha perso la vita. Prima e dopo di lui hanno perso la vita altre persone. Che avevano lo stesso obiettivo: dire la verità. E per dire la verità sono stati ammazzati, fatti fuori. E la mafia c'entra e non c'entra. Prima di essere ammazzate quelle persone sono state isolate. Prima ancora sono state denigrate. E ora? E ora io ci ho pensato a quello che potrebbero pensare guardandoci da chissà quale parte dell'universo, in paradiso, nell'aldilà o altrove. E obiettivamente non lo so cosa possono pensare, ma un'idea me la sono fatta. E ce la siamo fatta tutti. E sono sicuro che la mia idea corrisponde a quella della gran parte di quelli che leggeranno questo articolo. E anche alla gran parte di quelli che non votano. E pure alla minor parte di quelli che invece votano. E quindi che fare? La risposta io l'ho trovata. Ed è scrivere. Scrivere, scrivere, scrivere.
Quarant'anni dopo invece siamo qui, parlo dei giornalisti, a farci la guerra tra di noi. A parlare di re e regine con una società narcotizzata. A provare a manipolare l'opinione pubblica di quei pochi, anzi pochissimi che leggono la cronaca locale. A pensare a sopravvivere e non vivere. Tutti divisi e ognuno a pensare ai fatti suoi, quando dovremmo pensare semmai ai fatti nostri. Di tutti. Invece c'è la regina buona e la regina cattiva. Il barone e il duca. L'orco e la principessa. Che tanto principessa non è. L'orco invece è proprio un orco. E si parla davvero così tra i giornalisti catanesi. E, forse, anche nelle segrete stanze del giornalismo nazionale. E lo so che è davvero triste, ma credetemi è così. Tra manipolazioni, cattiverie, finzioni, messaggi cifrati e cuttigghi di primo pelo. Che mi sembra la definizione più adatta. Questa è la verità.
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Comunque, quel giornalista non faceva nomi. Ma solo cognomi. E nemmeno sempre. Così, dal momento che, per rispetto, tutti citano a caso, io stavolta per rispetto il suo nome non lo faccio. E nemmeno il suo cognome scrivo. Ma ne faccio altri, di nomi: quelli degli attuali cavalieri dell'apocalisse. Che cavalieri non sono e mafiosi nemmeno. Per questo li abbiamo definiti i potenti dell'Apocalisse non mafiosa: sono Alessi, Costanzo, Rendo e Mirri. C'è un articolo per ognuno di loro. In mezzo c'è il traghettatore Ciancio. Al loro servizio c'è la politica: primo tra tutti Raffaele Lombardo.