Il Pezzo Etneo

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I quattro potenti dell’Apocalisse non mafiosa
Gabriele patti,  24 Novembre 2023
C'era una volta piazza Santa Maria di Gesù con la sua bella fontana piena d'acqua, c'era una volta il tram che passava in via Etnea e c'era chi la via storica e principale della città la percorreva in bici, senza il timore di essere multato. C'erano e potrebbero esserci ancora, ma qualcosa sembra remare nella direzione opposta. Remi sospinti dall'acqua della paura e della compiacenza a loschi affari, trame oscure e intrighi sempre più alla luce del sole. Perché, tanto, chi se ne deve accorgere. E anche se dovessero accorgersene, che ci interessa. Abbiamo tutto noi. Siamo i quattro potenti dell'Apocalisse non mafiosa: Rendo, Costanzo, Alessi e Mirri

La città avvolta da una cappa di omertà e favoritismi. Falsità, giochi di potere e quella comunicazione degna dei peggiori regnanti. Una città fatta di luci e ombre. Ma a rimanere sono solo le ombre. Quelle della falsità, del finto buonismo e dell'ossessione di riavvicinare i cittadini all'amministrazione con una sequela di post inconcludenti. A Catania da quarant'anni a questa parte cambia tutto e non cambia niente. Cambia tutto in peggio. E niente in meglio. C'è chi del malcontento popolare ne fa un punto di forza. C'è la politica, ci sono i giornali e c'è l'imprenditoria. Ma i politici sono sempre gli stessi o rappresentano sempre gli stessi gruppi di potere, i giornali non ci sono più e l'imprenditoria è la stessa di quarant'anni fa. «I nomi si trovano in fondo alle pagine gialle...», cantavano Enzo Jannacci e Paolo Rossi ne I soliti accordi.

C'era una volta piazza Santa Maria di Gesù con la sua bella fontana piena d'acqua, c'era una volta il tram che passava in via Etnea e c'era chi la via storica e principale della città la percorreva in bici, senza il timore di essere multato. C'erano e potrebbero esserci ancora, ma qualcosa sembra remare nella direzione opposta. Remi sospinti dall'acqua della paura e della compiacenza a loschi affari, trame oscure e intrighi sempre più alla luce del sole. Perché, tanto, chi se ne deve accorgere. E anche se dovessero accorgersene, che ci interessa. Abbiamo tutto noi. Ma facciamo un passo indietro, partendo da un cancro che in quarant'anni di storia ci hanno spiegato illustri giornalisti ed esperti e noi non abbiamo capito: la mafia.

Diciamo subito, però, che la mafia non esiste: quello che ho capito della mafia è che non esiste. Già, proprio così. Esiste il potere e chi lo amministra. Esistono le ombre e le luci e i tanti ai quali piace mischiare tutto. Chi millanta luce è ombra. E chi vive nell'ombra è luce. Ho capito che non esiste la concezione generica di mafia. Ho capito che ci sono mafiosi e mafiosi. Ci sono i mafiosi che apertamente si dichiarano come tali e che morirebbero piuttosto che pentirsi e collaborare con la giustizia. E questo, a prescindere dalle opinioni sulla mafia, se io fossi un mafioso lo apprezzerei. È sintomo di fedeltà, di fiducia. Quella stessa fiducia che non c'è nella classe dirigente. Soprattutto se si considera, come per il depistaggio Borsellino, che a volte il primo nemico è lo Stato. Personale qualificato e non, avvocati, medici, commercialisti, dirigenti comunali e professoroni pronti a rinnegare persino se stessi e anni e anni di studi per compiacere la classe politica di appartenenza o il potente di turno. Occhi tappati, bocche cucite e, talvolta, le armi dell'ostruzionismo in mano. Questa è la vera mafia. Se la classe dirigente avesse lo stesso vincolo associativo e lo stesso rapporto fiduciario, lo Stato sarebbe più forte della mafia. Ma vuole esserlo?

Ci sono mafiosi dichiarati che vivono in una roulotte in una delle piazze più belle e famose di Catania, rovinata e avvilita dalle scelte della politica. Ci sono boss mafiosi che spazzano le strade perché «quei bastardi non vengono mai e allura a puliziu iu a strata». E lo fanno giornalmente. Ci sono mafiosi che «noi le donne non le tocchiamo, non andiamo a scassarici a minchia alle piccole botteghe, quelli che lo fanno sono delinquenti, non sono mafiosi». I virgolettati non sono inventati, sono veri, quelli di una persona in carne e ossa. Di un boss in carne e ossa che fa il parcheggiatore abusivo. È anche artigiano e, poi, ripara e vende biciclette. Da dove le prenda, non si sa. Né interessa. Lui dice che è un mafioso. E lo rivendica con orgoglio.

L'ho conosciuto così, per caso. Ha i suoi precedenti penali, ma da un paio di anni pare che non ne faccia più. Io non gliene ho visti compiere. Né tanto meno ho partecipato ai precedenti. L'ho visto pulire le strade e aiutare il prossimo. Questo ho visto e questo racconto. Per strada lo salutano tutti, non per timore, ma sembra per affetto. Per sentimento, che pare vero: sembra stima. E in effetti, sebbene consci dei suoi precedenti penali e degli eccessi a cui spesso si lascia andare, è difficile non provarla, la stima, dico. Eppure è mafioso. E mica io sto con i mafiosi. Ma così è. Ed è la verità.

Così, mi è capitato di pranzare insieme a lui più di una volta. «Il posto lo decido io, va bene?». E che gli dovevo dire: «Va bene». Non ho mangiato da re, ma l'esperienza è valsa qualunque banchetto reale. Quel giorno siamo andati in macchina. «Per favore te la metti la cintura?». E lui: «E chi spacchiu è, che mi interessa a mia da cintura». Dopo qualche minuto, in silenzio e provando a non farsi accorgere, l'ha messa. I giorni seguenti non è stato necessario ricordarglielo. Perché ormai quando mi porta a mangiare fuori la mette lui stesso la cintura, senza che sia necessario ricordarglielo. Ed è felice di farlo. Sorride, mi prende in giro. Lui non lo sa, ma io l'ho visto che sorrideva mentre si allacciava - anche se poco convinto - la cintura.

Così è nata un'amicizia. A dire il vero non so se sia un'amicizia. Lo definirei un rapporto di stima reciproca in cui ognuno rispetta il ruolo dell'altro e ognuno si fa i propri fatti. Omertà? Forse è omertà, ma è quella sana. Condividiamo del cibo e qualche racconto. Dalla sua conoscenza ho cominciato a chiedermi cosa sia veramente la mafia. Perché io di mafioso, per quel poco che conosco dell'atteggiamento mafioso, dalle ordinanze e dalle vicende processuali, in lui non ci ho visto niente. Ci ho visto un catanese, come altri. Non peggiore di alcuni. Ma sicuramente migliore di molti. E quindi, mi sono chiesto cos'è la mafia. Perché io non lo sapevo. O, se lo sapevo, non ero perfettamente consapevole.

E questo ragionamento fila se non si considerano i Santapaola. Quelli sono i veri mafiosi che, infatti, stanno sempre dalla parte del potere. Lo controllano e si fanno controllare. Diciamo che per un mafioso la mafia è buona e la delinquenza è cattiva. Per un delinquente e per il popolo, la mafia ni runa a manciari. Per la politica, la mafia è un'arma. Per un imbecille, delinquenza e mafia sono la stessa cosa.

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Leggi l'editoriale: "Della verità non ci si stanca mai, dei giornalisti sì: tranne di uno"

La mafia è potere

E no, non lo so nemmeno adesso cosa sia veramente la mafia. Di sicuro non è quella dei comunicati stampa. O almeno non di tutti. Un'idea su cosa sia veramente la mafia me la sono fatta. Un'idea che è riassumibile così: la mafia è potere. È il potere di decidere, è il potere di comandare per sé e per altri esclusivamente per trarne un ingiusto profitto. Che può essere meramente personale, economico o di reputazione e controllo del territorio. E allora mi sono chiesto: qual è la differenza tra la politica e la mafia? Eppure la politica è lo specchio della società.

Così, mi sono chiesto: ma non è che la vera mafia è la società? E sono giunto a una risposta: sì, è la società. È chi amministra la società, chi la gestisce, chi incentiva il traffico di droga, il riciclaggio, le estorsioni, gli interessi politici e non. Insomma, è chi agevola e favorisce le condizioni per lo sviluppo della mafia. È la società. E intorno a cosa ruota la società? La risposta qui è stata molto semplice: il denaro. I soldi amministrati dalle banche, dagli imprenditori e dalla politica. Quindi, in questo Paese, chi è la vera mafia?

Ma a questa conclusione ci sono orde di esperti, filosofi, sociologi, magistrati e giornalisti che ci sono arrivati prima di me. E io non so se lo hanno già detto, ma credo che la mafia sia solo uno strumento: il braccio armato del potere per riuscire a portare avanti i propri piani senza intoppi. E da qui un circolo vizioso: io potente faccio un favore a te mafioso, se tu lo fai a me politico, primario e dirigente comunale. Soprattutto dirigente comunale.

È la politica del favoritismo tra mafia e potere. Che poi si riversa inevitabilmente sulla società: così, in realtà, siamo tutti mafiosi solo che non lo sappiamo. E lo diventiamo nel momento in cui accettiamo inconsapevolmente o consciamente le regole del sistema. Quello catanese, siciliano, italiano, europeo e internazionale. E sì, siamo tutti mafiosi. Ma la colpa non è nostra. È il sistema che ce lo impone. È il denaro e chi lo amministra che ci rende mafiosi. Cerchiamo allora di capire chi amministra affari, potere e soldi in questa città. Chi, alla luce del sole, si spartisce gli appalti pubblici con la compiacenza della politica.

I grandi potenti dell'apocalisse non mafiosa

Senza avere alcuna intenzione di affermare che i personaggi, protagonisti di tutti gli affari che ruotano attorno alla città, siano mafiosi, cerchiamo di fare il punto sugli imprenditori che un tempo Fava avrebbe definito i cavalieri dell'apocalisse mafiosa. Ma che, quarant'anni dopo, non possono e non debbono essere definiti mafiosi né tanto meno cavalieri, ma potenti. E questo non solo perché sono altre persone, ma perché sono potenti e non sono mafiosi. Sono i grandi potenti dell'apocalisse non mafiosa.

Quindi, partiamo dalla domanda a cui ormai undici mesi fa abbiamo dedicato un articolo di giornale: chi comanda Catania? Una domanda la cui risposta va analizzata e sviluppata approfondendo più livelli: quelli della politica e quelli dell'imprenditoria. Quest'ultima a sua volta va divisa in altre sottocategorie. Tante quanti sono i settori più sviluppati in città. Quelli delle costruzioni, della pubblicità, delle società sportive e dei rifiuti. Ovvero i settori da cui derivano i maggiori introiti e conseguentemente maggiori interessi. Quelli da cui derivano le più importanti inchieste giudiziarie.

A ogni settore corrisponde un potente: rispettivamente Domenico Mimmo Costanzo, Giovanni Alessi, Dario Mirri e Andrea Domenico Rendo. E nessuno vuole affermare che abbiano loschi interessi. Ma che abbiano molti interessi, sì. Ed è giusto così. Tutti omologabili con le aziende che amministrano. Se non nei nomi, negli atteggiamenti. Costanzo sornione tace, Alessi insiste, Mirri smentisce e Rendo replica. E lo fanno, alcuni personalmente, altri tramite terzi. E qualcuno bisbiglia: «Vale la pena di mettersi in tutti i casini in cui ti stai mettendo?». Assolutamente sì.

I quattro si spartiscono da anni gli appalti pubblici della città, le commesse di tenute care ai presidenti di Regione, gli introiti di società sportive e delle operazioni immobiliari ed edilizie negli anni di quella speculazione che sembra non finire mai. In mezzo c'è il traghettatore e collante dei quattro potenti Mario Ciancio: il suo nome compare, e in alcuni casi compariva a fianco o in sostituzione di alcune partecipazioni societarie - si pensi a quella relativa alla Banca popolare di Vicenza spa in cui lo scambio è avvenuto tra il padre di Mirri, Daniele (cedente) e l'ex direttore de La Sicilia (cessionario) il 9 marzo del 2016 - di quelli dei potenti in diverse società, soprattutto pubblicitarie.

Non è difficile immaginare come, in questi anni, prima che i quattro riuscissero a catalizzare gli affari, Ciancio abbia fatto da traghettatore dei quattro potenti verso il futuro. Un futuro che è arrivato e che si sta progressivamente concretizzando: dalla maggior parte delle testate giornalistiche i cui siti sono curati da Digitrend, la costola di Alessi spa; passando al progetto edilizio comunale dai contorni ancora opachi a San Berillo attraverso la convenzione tra Comune e Cogip, fino alla bonifica della cava di Monte Calvario affidata a Rem, i cui amministratori nel frattempo sono stati raggiunti da un avviso di conclusione indagini per presunto reato ambientale e, infine, la fuga di notizie relativa alla cessione - poi smentita da Dario Mirri -, del giornale La Sicilia a Damir, la concessionaria degli spazi pubblicitari all'aeroporto di Catania.

Andrea Domenico Rendo e il controllo del settore dei rifiuti

Al blocco Palma 2, in via Cosmo Mollica Alagona, al centro della zona industriale etnea, svettano due palazzoni, uno accanto all'altro. Al centro ci sono due ingressi nei cui cancelli compaiono due scritte a caratteri cubitali: a sinistra Ecoin e a destra Rem, come a identificare due diverse aziende. Diverse, ma vicine. Su uno dei muri perimetrali dell'edificio, in corrispondenza dell'ingresso di Rem, spunta una croce a otto punte: è il simbolo dell'ordine dei cavalieri di Malta. Le due grandi strutture costituiscono la sede legale del Consorzio stabile nazionale ambiente, il gruppo di società prima avente sede legale a Roma che, a marzo del 2022, è stato trasferito a Catania. C'è una società a responsabilità limitata e un consorzio di imprese. La prima è la Rem, acronimo di Realizzazione e montaggi. L'aggregazione di società invece è il Consorzio stabile nazionale ambiente.

Al centro c'è Andrea Domenico Rendo, nipote del Cavaliere del lavoro Mario Rendo, cioè, quest'ultimo, uno dei quattro cavalieri dell'Apocalisse mafiosa di Pippo Fava. Attraverso le società, Rendo gestisce, direttamente e indirettamente, il settore dei rifiuti siciliano. Nel frattempo a Catania, sede principale ma non unica dei suoi affari, si paga la Tari più alta d'Italia. Tra le ultime operazioni di Rendo c'è l'appalto, aggiudicato a inizio 2023, per bonificare la cava di Monte Calvario, a Biancavilla. La cui esecuzione, però, adesso diventa un'incognita a seguito dell'avvio del procedimento penale a suo carico, e dell'altro amministratore Giuseppe Santangelo, per reato ambientale che, secondo la procura, avrebbe commesso attraverso Rem - di cui Rendo è amministratore - sversando percolato nel fiume Dittaino. Una bonifica, quella di Monte Calvario, il cui appalto però, in termini di legge, potrebbe essere sospeso su scelta discrezionale del Comune di Biancavilla.

Il nipote del cavaliere, per un certo periodo di tempo, ha mostrato interesse anche per il settore dei giochi e delle scommesse. Prima direttamente attraverso la Giocabingo srl e adesso indirettamente attraverso la zia Grazia Santa Rendo. E pare, al netto della replica di cui, nel paragrafo successivo, accenniamo qualcosa (ma non tutto, perché si tratta di una lettera piena di improperi per i quali ci riserviamo la facoltà di agire in giudizio, ndr) che i suoi interessi si siano trasferiti oggi in un'altra società, la Golden Invest srl, una holding di partecipazioni di cui risulta amministratore unico la zia di Andrea Domenico, Grazia Santa Rendo. Quest'ultima società controlla, metà e metà con la Fin Bingo, la Sirio srl.

L'ottimo rapporto con il pallone di Dario Mirri

L'ultima notizia riguardante il nipote del presidentissimo Renzo Barbera e figlio di Daniele Mirri riguardava l'acquisizione, poi smentita dallo stesso Mirri, del giornale La Sicilia. Se l'operazione fosse andata in porto - tra i corridoi de La Sicilia si parlava di ex editore e di un preaccordo - che, lo ribadiamo, è stata smentita dal presidente del Palermo, l'imprenditore oltre al settore della pubblicità, avrebbe dominato anche quello dell'editoria. In realtà, però, sebbene le diverse commesse di Damir, società di famiglia, nell'installazione degli impianti pubblicitari della città, l'impero Mirri in questo settore non è ai livelli dell'amico concorrente, patron di Alessi spa. Ma soprattutto, sebbene insieme ad Alessi abbia in mano la quasi totalità degli spazi pubblicitari della città di Palermo, il suo vero interesse è il calcio. Ed è il settore da cui acquisisce soldi e potere.

Per questo l'elegante Dario Mirri, ritratto in una foto mentre fa il gesto dell'ombrello, è il potente a cui è destinata la gestione degli introiti sportivi e calcistici dell'isola. È il presidente del Palermo Calcio, anche se ha ceduto gran parte della proprietà al City Football Group, la holding controllata dallo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan, proprietario del Manchester City. E che controlla dieci società: Manchester City (Inghilterra), il New York City FC (Stati Uniti), il Melbourne FC (Australia), gli Yokohama Marinos (Giappone) e il Montevideo. Un'operazione che è proseguita e ha avuto, forse, la sua conclusione ieri quando il presidente ha ceduto altre quote al Cfg ed è rimasto con solo il cinque per cento. Ma rimane presidente del consiglio di amministrazione della società calcistica e, quindi, colui che gestisce introiti e decisioni.

Giovanni Alessi controlla la pubblicità e con essa i giornali

Giovanni Alessi è il patron di Alessi spa, la concessionaria leader nazionale nel settore della pubblicità. Ormai 91enne, la gestione della pubblicità sembra essere destinata al nipote, suo omonimo e amministratore delegato di Moving up, una società che si occupa di advertising. Alessi pubblicità e Moving up condividono la proprietà di Digitrend, l'azienda che in due anni ha fagocitato la quasi totalità dei giornali online siciliani con la scusa della monetizzazione. Installa impianti pubblicitari a Palermo e a Catania e nel capoluogo si divide la gestione degli impianti tabellari con Damir, la società della famiglia Mirri.

Quest'ultimo però ha in mano la gestione degli affari e degli introiti generati dal Palermo calcio e dalle operazioni societarie che derivano da esso. Così ad Alessi spetta la gran fetta della pubblicità. E Digitrend rappresenta lo strumento con cui il gruppo Alessi, e quindi Clear Channel e, di conseguenza, JcDecaux mantengono il controllo della pubblicità e svettano nel settore a dispetto di Mirri.

Digitrend ha provato ad acquistare spazi pubblicitari anche in questo nostro giornaletto, ma senza successo. Ciò che abbiamo notato è stata una certa insistenza che, a dire il vero, non ci è piaciuta. Ci piace di più sbagliare e rompere le palle. Anche a Digitrend e ai giornali da loro controllati.

Domenico Costanzo, il dominio nelle costruzioni

Domenico Mimmo Costanzo: due nomi al prezzo di uno. Il patron delle costruzioni a Catania sembra il più taciturno. Il suo nome è recentemente balzato agli onori della cronaca per la convenzione stipulata tra Comune e Cogip Holding, l'azienda la cui proprietà è detenuta dall'imprenditore attraverso due diverse posizioni: il tre per cento in prima persona e il restante 97 per cento circa attraverso la Horizon srl. Al centro dell'operazione c'è un dirigente comunale: Biagio Bisignani. Quando si parla di urbanistica, costruzioni e operazioni immobiliari il suo nome è sempre al centro delle polemiche. Chi segue la cronaca cittadina ricorderà la querelle costruita attorno all'appalto per la demolizione dell'ex Palazzo delle Poste e la successiva progettazione della cittadella giudiziaria.

Costanzo, però, è anche il manager di Tecnis spa, società con la quale si è aggiudicato diversi appalti pubblici: ponti, viadotti, gallerie, strade, autostrade, lavori idraulici, ferrovie e metropolitane. Non ultimi i lavori dell'anello ferroviario di Palermo. Cogip, che detiene il 50 per cento delle quote di Tecnis, è la società con la quale Costanzo - complice l'inchiesta giudiziaria incardinata sul reato di bancarotta fraudolenta, che ha visto la condanna, attraverso patteggiamento, di Mimmo Costanzo a quattro anni ai tempi dei lavori di realizzazione dell'anello ferroviario a Palermo -, dopo aver esaurito la credibilità e l'immagine di Tecnis, intende portare avanti i suoi affari. A quanto pare con il benestare del Comune di Catania.

Ecco come i quattro potenti dell'Apocalisse non mafiosa gestiscono la città, si dividono i settori imprenditoriali e formano una sorta di oligopolio a quattro a danno delle piccole e medie imprese. Senza la politica però tutto questo sarebbe se non impossibile, almeno più complicato.

I politici vicini all'impero dei potenti

Ci sono Raffaele Lombardo dell'Mpa, Nello Musumeci di Fratelli d'Italia ed Emiliano Abramo del Partito democratico. Sono gli amici dei potenti dell'Apocalisse non mafiosa. Lombardo è il riferimento politico di Giovanni Maniscalco, presidente del cda di Codesour, la società del gruppo Alessi. Dirigente regionale, Maniscalco pochi mesi fa è stato riconfermato consigliere di amministrazione in Gesap, la partecipata che gestisce i servizi dello scalo aeroportuale di Palermo, in quota Mpa, su nomina del sindaco Roberto Lagalla. Riferimento proprio di chi, come Lombardo, comanda la Sicilia dentro e fuori dai palazzi.

Nello Musumeci, invece, è il presidente che nel 2019 ad Alessi e Mirri ha affidato la gestione della pubblicità esterna per la Fiera del Cavallo ad Ambelia. Il nome di Abramo, invece, ex assessore al Comune di Catania e presidente della Comunità di Sant'Egidio compariva anche in Ymca, la fondazione che si occupa di beneficienza nel cui cda c'era Alessandro Indovina: uno dei gestori delle sale bingo di via Caronda e piazza Alcalà. Ovvero colui che, a guardare le partecipazioni societarie e i precedenti nelle aule di giustizia, sembra essere il delegato di Rendo nella gestione di giochi, scommesse e beneficienza. Un settore, quest'ultimo, in cui ha sempre navigato Abramo, di cui peraltro è rinomata la sua vicinanza politica a Raffaele Lombardo. E qui si chiudono tutte le figure geometriche che conosciamo: cerchi, quadrati e poligoni vari.

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