Lombardo, Galvagno e Notarbartolo si muovono al ritmo di Don Raffae’
Gaetano Galvagno, Raffaele Lombardo e Niccolò Notarbartolo. Tre nomi, una garanzia: il potere. Le facce di chi non ci colpa, ma la condotta di chi indirettamente e, per carità talora inconsapevolmente, fiancheggia le azioni politiche, talvolta se non spesso, condotte con metodi mafiosi. Attenzione: l'intenzione di questo articolo non è affermare che i tre Moschettieri della Catania bene siano effettivamente complici di Cosa Nostra. L'intento piuttosto è quello di evidenziare determinate condotte omissive e indirette che in un certo qual modo forniscono un vantaggio a chi ogni giorno distrugge la nostra terra. A chi favorisce le condotte mafiose trovando la complicità della politica. Ed eccoli qua i tre moschettieri del potere politico. Sarebbe meglio dire due dal momento che Notarbartolo ricopre il ruolo dell'ottavo nano del potere. Il volto angelico di chi amministra il potere politico in Sicilia. Una sorta di sottoufficiale di Lombardo.
Notarbartolo cura gli interessi della sporca politica. Dietro a questa affermazione c'è un presupposto: quello secondo cui nel paese in cui la mafia è un elemento fondante della classe politica e dirigente catanese e siciliana, chi cura gli interessi della politica (anche se non tutta, certo) cura gli interessi della mafia. E non è un pensiero, un'opinione, un'idea campata per aria: è voce di popolo sì, che però si innesta su 81 anni di storia, quando gli americani con lo sbarco in Sicilia liberarono i banditi che il fascismo aveva rinchiuso nelle patrie galere. E che poi, grazie allo sbarco, prima aiutarono gli americani e poi diventarono mafiosi. Ed è proprio così che gli americani controllano l'Italia. Che da quel momento è diventata una colonia americana. Lo si vede in La mafia uccide solo d'estate, film magistralmente diretto da Pif che racconta settant'anni di storia d'Italia.
Si parla degli eredi del bandito Giuliano: delinquetelli, si direbbe oggi. Gli stessi di cui voleva parlare la commissione antimafia regionale nella sua prima relazione. O, almeno, così aveva dichiarato il suo presidente Antonello Cracolici, con quella che è stata definita da più parti una scelta infelice. Che, per l'appunto, ha ceduto il passo a due relazioni più importanti. Più importanti, si fa per dire: una riepilogativa di un incontro con i sindaci dei comuni siciliani in cui hanno presenziato anche i primi cittadini di due dei comuni controllati dalla longa manus dei Santapaola, cioè Gravina di Catania e Mascalucia, rispettivamente Massimiliano Giammusso e Vincenzo Magra, i quali amministrano due territori sotto l'egida dei Santapaola; l'altra riguardante l'attività di ascolto dei comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica sul territorio siciliano.
Entrambe si limitano a ribadire cose già note, dal traffico di stupefacenti alle estorsioni fino al numero dei clan presenti nel Catanese, senza però menzionare il nome dei gruppi mafiosi o citare assessori e consiglieri affiliati (o presunti tali) a clan mafiosi. In quella che sembra solo una pantomima. Come a dire: noi l'abbiamo fatta, stiamo lavorando. Per il resto ci pensano i magistrati e i giornalisti. Ed è qui che casca l'asino: quali giornalisti? Forse quelli dei giornali, quelli in mano, guarda caso, ai tre moschettieri della Catania bene che, con comportamenti omissivi o commissivi, spesso favoriscono pratiche clientelari e di controllo del territorio. E tra le pratiche di controllo messe in atto dai moschettieri c'è il dominio della stampa siciliana.
Cerchiamo allora di capire chi sono i tre moschettieri politici della Catania bene. L'innominato, l'illustre patron della Sicilia e il suo golden boy.
L'innominato o innominabile Niccolò Notarbartolo, collante tra Lombardo e il Pd
E pensare che il presidente Cracolici è dello stesso partito di Notarbartolo...
È plausibile pensare che i politici non sappiano che la mafia foraggia il potere e che il potere foraggia la mafia? È possibile pensare che la politica non sappia che il rapporto tra potere politico e mafioso è talmente stretto da risultare legato con nodi inestricabili. Ed è possibile pensare che il più competente dei politici catanesi del Pd - così lo definiscono - non sappia che il suo partito è una costola dell'Mpa? E ancora: è possibile immaginare che un politico di lungo corso qual è Notabartolo non sappia che in questo paese, dietro il potere, c'è sempre la mafia? La risposta è chiaramente no. Allora, semmai, è plausibile pensare che si sappia ma si ignora. Ed è plausibile pensare che oltre a ignorare si continui a perorare le cause di quel potere che logora da anni un'isola. La nostra. Ed è proprio quello che ha fatto Notabartolo in quest'isola. L'isola che non c'è. O meglio, quella che c'è ma non si vede. E se si vede, si vede male. Molto male.
Dieci anni di politica alle spalle e il controllo contabile di due giornali che hanno fatto la storia di Catania: La Sicilia e MeridioNews. Gli stessi che da due anni a questa parte sono controllati da Digitrend, l'agenzia di comunicazione che cura i siti online di quasi la totalità dei giornali catanesi con pop-up, pubblicità e marchette sparse nelle pagine del giornale. Digitrend, a cui abbiamo già dedicato un articolo di giornale, è solo il fanalino di coda di un complesso di società articolato come scatole cinesi del gruppo Alessi, di Giovanni Alessi. Ovvero chi, insieme a Damir, ditta del presidente del Palermo Calcio Dario Mirri, detiene il possesso di tutta la cartellonistica pubblicitaria siciliana oltre che delle commesse governative regionali. In questo articolato sistema rientra anche Server srl, società collegata ad Alessi spa in cui Notarbartolo ha svolto diverse collaborazioni occasionali. Di Server era amministratore unico, almeno fino al 2018, Biagio Similia. Parallelamente e fino al 2018 Similia è stato amministratore di Live Sicilia, tra i quotidiani regionali online più importanti.
Tra le società che orbitano nel gruppo Alessi c'è anche Codesour, altra azienda che si occupa di comunicazione, diretta dal nipote di Alessi di cui amministratore unico è Giovanni Maniscalco, che è anche nel cda di Gesap: la società che gestisce i servizi aeroportuali nello scalo aereo palermitano. Uomo di fiducia del sindaco del capoluogo Roberto Lagalla, Maniscalco come il primo cittadino fa capo a Raffaele Lombardo. In breve: Notarbartolo ha curato gli interessi di una società, server srl, del gruppo Alessi. Quest'ultimo vicino a chi comanda la Sicilia, nel periodo in cui era amministrata da chi, come Similia, ha gestito Live Sicilia. E, inoltre, ha curato la contabilità di due giornali come MeridioNews e La Sicilia. Un solo uomo a capo di mille interessi politici infiltrato nei meandri del giornalismo siciliano. Per capire come è finita, basta guardare i risultati e leggere qualche articolo delle rispettive testate giornalistiche. E distinguere la fine ingloriosa di Meridionews e il rilancio, dopo l'assoluzione di Ciancio, del giornale regionale per antonomasia. In quello che può essere definito e che rientra nel gioco Lombardo: controllare tutto senza farsene accorgere.
Raffaele Lombardo: lo chiamavano... Don Raffae'
Qualcuno lo chiama imperatore. Qualcun altro sostiene che comandi la Sicilia dentro e fuori dai palazzi. Qualcuno addirittura gli dà del mafioso. O del concorrente in associazione mafiosa. Ipotesi questa che, però, non trova riscontri nelle aule di giustizia dal momento che il capo dell'Mpa è stato assolto in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Eppure il popolo ancora parla. Eppure, nonostante anni di processi, acerrimi nemici, le finte bagarre con Cuffaro e Trantino, Lombardo riesce sempre a farla franca. Controlla la politica, i giornali e anche il territorio. Tanto da meritarsi a pieno titolo l'appellativo di Don Raffae'. I metodi sono quelli da prima Repubblica, quelli delle infiltrazioni nei partiti. Così è stato per Anthony Barbagallo che, da giovane rampollo autonomista alla guida del Comune di Pedara diventa segretario regionale del Partito democratico. E così è stato per Gaetano Galvagno, che da golden boy di Lombardo, adesso presiede l'Ars in quota Fratelli d'Italia. E Pogliese a Roma a scaldare la poltrona da senatore.
Il processo per concorso esterno in associazione mafiosa, l'assoluzione, il difficile rapporto con Cateno De Luca: tutte storie note che ormai lasciano il tempo che trovano. Ma c'è una storia forse meno nota di altre, quella che vede protagonista la consigliere comunale di Gravina di Catania Domenica Spartà, sorella di Rita e Francesca, già condannate in primo grado, tra gli altri, anche per associazione mafiosa. L'autonomista che nel 2022 aveva sostenuto la campagna elettorale per le Regionali del nipote Giuseppe. Un anno dopo transitata in FdI per il suo secondo banco di prova come candidata al consiglio comunale a sostegno del sindaco Massimiliano Giammusso. Tentativo, questo, che a differenza del precedente, è andato in porto.
Gaetano Galvagno, l'erede dell'imperatore e il lato oscuro della Forza: come rimescolare le carte
E se si parla di transizioni, è bene sottolineare che il primo cittadino di Gravina pare essere adesso fido scudiero del prode Galvagno. Il presidente dell'Ars, invece, è il pupillo di Lombardo infiltrato in FdI. La presidenza dell'assemblea regionale siciliana gli sarebbe stata concessa con il benestare di un imprenditore paternese. L'autodefinito Re della Sicilia sarebbe destinato a diventare l'erede dell'imperatore: per il momento si accontenta di regnare in attesa di poter comandare l'impero. Cosa si può dire di Galvagno che non sia già stato scritto? Praticamente tutto, dal momento che a parte sue dichiarazioni e comunicati stampa, i giornali non riportano, salvo qualche rara eccezione, nemmeno un particolare sul figlioccio di Don Raffae'. Eppure si potrebbe scrivere della sua avanzata, non solo a Catania Comune, ma anche in provincia, in particolare in due comuni etnei: Mascalucia e Gravina di Catania. Proprio il Comune in cui si è registrato il caso Spartà, la figlia di zio Nino.
Oltrepassando la cintura etnea, anche a Mascalucia, Galvagno ha preso il dominio del territorio. E anche lì è scoppiato un caso, stavolta riguardante la parentela di primo grado di un ormai ex assessore e consigliere comunale con il boss mafioso ed ex ergastolano Nunzio Zuccaro, dei Santapaola. È il caso di Valentina Lombardo. Anche lei, come Spartà, è stata protagonista di un cambio di casacca avvenuto poco prima dell'ultima tornata elettorale: da fedelissima, insieme a Mondelli, padre e figlio, di Galvagno a donna fidata di Marco Falcone in Forza Italia. Sarebbe meglio dire ex fidata, perché dopo l'articolo pubblicato da questo giornale, Lombardo si è dimessa dal doppio ruolo di consigliere e assessore per non aver dichiarato la parentela mafiosa nell'informativa antimafia.
Così Galvagno, quatto quatto, quieto quieto, sta conquistando tutti i Comuni della provincia etnea. Prioritariamente quello di Catania, dove è finalmente riuscito a insediare il suo di pupillo, Giovanni Magni. Figlio del boss mafioso Angelo Magni, ormai deceduto in carcere. Una circostanza che ha di fatto eliminato la condizione di ineleggibilità del giovane consigliere comunale.
Non solo politica e vicinanza a parenti dei Santapaola, però, per il presidente dell'Ars. Nel suo curriculum compare pure un'inchiesta per corruzione archiviata riguardante la realizzazione di una piscina nel terrazzo della sua abitazione, a Catania. E, come Notarbartolo e Barbagallo, c'è da sottolineare il rapporto di amicizia con l'editore catanese Giuseppe Russo, patron del gruppo editoriale Rmb.
Vicende, queste, delle quali la commissione regionale antimafia nelle sue due ultime relazioni non scrive nemmeno una riga. Magari sarebbe il caso di occuparsene, magari facendo anche i nomi dei clan mafiosi interessati. In quei due Comuni in cui spadroneggia la famiglia Santapaola-Ercolano.