Il Pezzo Etneo

Il caso Notarbartolo: il controllore della stampa siciliana per volere di Lombardo
Giornalismo e politica, i nodi vengono al pettine: gli interessi personali e collettivi
Gabriele patti,  31 Marzo 2024

Una critica personale e collettiva tra interessi di parte e dei lettori su un uomo che controlla mezza Catania. Cosa scegliere: l'interesse personale a non scriverne o l'interesse collettivo a scriverne? Ma soprattutto: come si fa a non scrivere di uno che ha e aveva il controllo contabile di due giornali?

Troppe complicazioni, troppo marciume da digerire, troppe conseguenze scaturite da articoli di giornale che raccontano una storia che non racconta più nessuno: la storia di Catania. Avevamo deciso di chiudere il giornale, ma abbiamo cambiato idea. C'era qualcosa che mancava. Il giornale non aveva ancora esaurito tutte le pagine. Alcune erano rimaste vuote, altre avevano ancora alcuni spazi da riempire. E ad alcune "i" servivano i puntini. C'era ancora una questione da affrontare. C'erano ancora dei nomi da fare. C'era ancora da concludere e da raccontare. E per farlo serviva un ultimo (stavolta sul serio) articolo. Serviva un'ultima storia per chiudere il cerchio. Quello di cui ci hanno parlato politici e giornalisti, ma che ancora non abbiamo capito che cos'è. Così scriviamo per cercare di capirlo e farlo capire.

Si parla di interessi personali, della circostanza per cui questi ultimi e il giornalismo non possono mai collidere: il giornalismo, per definizione, è ovvio, non si fa per assecondare interessi personali. Ed è proprio per questo motivo che abbiamo ritardato la pubblicazione di questo articolo. Per un interesse personale che, in teoria - e per un determinato momento lo ha fatto - avrebbe dovuto distoglierci dal redigerlo. In mezzo, come al solito, c'è una donna di cui non faremo il nome. Una donna contesa tra chi, come il sottoscritto, scrive questo articolo e il politico di lungo corso che sfortunatamente si trova a essere - per la prima volta non felicemente - oggetto del medesimo. Circostanza, questa, che ci ha fatto interrogare sulla nozione di interesse personale.

Ci siamo allora chiesti cosa si intende per interesse personale. Esiste davvero una correlazione tra interesse personale e deontologia professionale oppure è un legame destinato a rimanere solo sulla carta e tirato in ballo esclusivamente per impaurire qualcuno e convincerlo a desistere? Così facendo, assecondando un altro interesse personale? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe capire quale ambito di applicazione, cioè quale ampiezza si riserva alla nozione di interesse personale. E in questo caso bisognerebbe prima di tutto capire se l'interesse che mina la deontologia professionale sia quello positivo (cioè quello di scrivere di amici, parenti e contigui) oppure anche quello negativo (cioè quello di non scriverne).

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Nella prima ipotesi non avremmo dovuto pubblicare questo articolo. Nella seconda, nessun giornalista - considerati il rapporto privilegiato con la politica, con il legame con le fonti politiche e istituzionali e i giornalisti valletti e lacchè della politica che nel taschino tengono le tessere di partito -, nessuno dovrebbe pubblicare articoli. In poche parole non dovrebbe esistere il giornalismo in Italia.

Se poi analizziamo il caso concreto, cioè quello che riguarda il sottoscritto, la giovane donzella e il moschettiere della Catania bene, Notabartolo appunto, una domanda sorge spontanea: come bilanciare la contrapposizione tra due interessi - quello personale e quello collettivo - per evitare di incorrere in sanzioni disciplinari? O, ancora, per non deludere le aspettative di questo menage a trois tra giornalismo e politica? Beh (rigorosamente con l'h), se si scrive si lede la deontologia professionale, perché appunto di interesse personale si tratta: il mio o i nostri. Se non si scrive - partendo dal presupposto che il suo nome non compare in nessun giornale e in nessuna inchiesta giornalistica sebbene di motivi ce ne siano più d'uno per fare un'inchiesta - si rischia di ledere l'interesse collettivo. Quello dei lettori, ovvero il diritto di sapere chi comanda una fetta di città.

In quest'ultimo caso, ci si dovrebbe chiedere se non è forse interesse personale non scrivere mai (e lo ribadiamo, il suo nome non compare in nessuna inchiesta giornalistica da dieci anni a questa parte) di una persona che controlla o controllava gran parte del potere di questa città. Cioè, bisognerebbe chiedersi, se l'interesse personale di non scriverne sia meno passibile di critica o di sanzioni disciplinari dell'interesse personale a scriverne. Ma soprattutto bisognerebbe chiedersi: come si fa a non scrivere di uno che controlla mezza Catania?

Domande alle quali noi non sappiamo rispondere. Ma, in mancanza di una risposta certa e liberi di scegliere, abbiamo optato per privilegiare l'interesse collettivo e la verità sostanziale dei fatti, esponendoci in prima persona. Questo è il giornalismo etico a cui miravamo. Adesso sì, che questo giornale può intraprendere un altro percorso, quello cominciato tanto tempo fa quando Pippo Fava insegnava a tutti cosa fosse l'etica nel giornalismo. La stessa etica di cui molti si riempiono la bocca, ma nessuno mette in pratica. Una storia che si ripete ciclicamente da quarant'anni e che adesso è destinata a cambiare. Una storia scritta nelle pagine di un libro appena terminato. Un libro di cui vanno riscritte le pagine e a cui serve cambiare la copertina. Un libro che si intitola I Siciliani.

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