L’indagine per falso ideologico archiviata sulla dirigente comunale
Archiviata. L'indagine penale per abuso d'ufficio e falso in atto pubblico realizzata nei confronti della dirigente comunale Salvina Gambera è stata archiviata. Al centro dell'inchiesta, che trae spunto da un precedente procedimento amministrativo sul posizionamento di un chiosco, sono finiti alcuni documenti che secondo le ipotesi accusatorie sarebbero stati rilasciati senza il rispetto delle norme previste dalla disciplina dell'accesso agli atti. Ipotesi, questa, che gli inquirenti non sono riusciti a dimostrare. Per questo hanno richiesto l'archiviazione, poi concessa dal gip. L'esame dell'impianto accusatorio però torna utile nella descrizione di usi e costumi gravinesi e al racconto di un complicato rapporto tutto catanese: quello tra i chioschi e gli enti comunali e tutto quello che può celarsi dietro a un semplice Seltz, limone e sale. Proprio dal tradizionale digestivo prende il nome il chiosco da almeno tre anni al centro dei rumor cittadini, di proprietà di Trattoria Duca di Camastra srls avente come amministratore unico Salvatore Longhitano. Ma facciamo un passo indietro.
A Gravina, in via Duca di Camastra, conosciuta ai più come piazza Duca di Camastra, ci sono due chioschi. Uno è chiuso da tempo e l'altro ha aperto da un po'. Sarebbe meglio dire si è trasferito da un po'. Prima, ai tempi in cui si era soliti gettare abusivamente colate di cemento per la realizzazione di scivole per motocicli, il chiosco stazionava con una propria struttura al parco Borsellino. «Hanno buttato una colata di cemento per fare una scivola così da fare entrare i motorini e si sono allacciati alla fornitura di acqua e luce abusivamente», aveva denunciato il sindaco Massimiliano Giammusso in consiglio comunale. Forse, anche per questi motivi, attraverso un accordo avvenuto tra palazzo comunale e l'azienda, Longhitano ha avviato il procedimento di trasferimento cedendo al Comune e a titolo gratuito la struttura realizzata al parco. E forse, proprio per questo, la questione ha attirato le attenzioni di palazzo comunale, degli uffici e anche dei consiglieri. Perché della questione se ne parlava al Comune e se ne parla tra le vie cittadine. E se n'è parlato anche nelle aule di giustizia: prima in quelle amministrative e poi in quelle penali.
Il processo davanti ai giudici amministrativi
Più o meno da novembre 2019, quando l'allora comandante della polizia locale Domenico Torrisi, su invito del sindaco Giammusso, relaziona sullo stato dei luoghi. «È sconsigliabile la presenza di altri operatori commerciali, perché l'occupazione di suolo pubblico concessa a tutti e tre gli operatori già presenti nella zona, ha ristretto lo spazio utilizzabile per il transito e la presenza di un parcheggio autorizzato restringe la sede stradale a circa sette metri - si legge nella relazione di servizio del 19 novembre del 2019 - autorizzare un'altra occupazione di suolo pubblico per attività commerciale rappresenta un potenziale pericolo per la sicurezza pubblica e fortemente penalizzante per i residenti». Sarebbe necessario, conclude la relazione, «trovare un luogo più idoneo per concedere il suolo pubblico al richiedente». Una nota sostanzialmente ignorata, perché il chiosco ha ottenuto i pareri favorevoli di Anas e degli uffici comunali. Così il 26 giugno 2020 il Comune concede l'autorizzazione all'occupazione di suolo pubblico in piazza Duca di Camastra per 17 metri quadrati. Spazio che, peraltro e secondo la ricostruzione di questo giornale, è stato più volte allargato illegittimamente.
Comincia così la battaglia giudiziaria tra chi non vuole un altro operatore commerciale nella piazza e Longhitano che, invece, si deve difendere. La controversia amministrativa ruota attorno al trasferimento del chiosco da parco Borsellino a piazza Duca di Camastra, per la ricorrente da considerarsi illegittimo: il Tar, fra ricorsi e controricorsi, si pronuncia due volte e la questione arriva al Cga che il 17 giugno del 2021 decide definitivamente sulla questione stabilendo che il trasferimento è legittimo perché non aumenta il numero di chioschi sul territorio previsto dal regolamento comunale. Ma la battaglia non finisce qui, perché i dubbi che qualcosa non quadri restano.
L'inchiesta penale archiviata
Un mese dopo, infatti, si apre un altro procedimento, stavolta di natura penale, a seguito della denuncia di Agata Arcdiacono, titolare di un altro chiosco che insiste sullo stesso slargo. Al centro dell'inchiesta (archiviata, come detto, per mancanza di prove il 3 marzo, nda) c'è il procedimento amministrativo autorizzatorio e nel calderone finisce la responsabile comunale del terzo servizio Salvina Gambera, che è stata indagata per abuso d'ufficio e falso in atto pubblico. Per quelle indagini che ruotavano tutte attorno al comportamento della dirigente che - come emerge dagli atti - avrebbe rilasciato a Longhitano in violazione di legge, con condotta abusiva illecita e falsa la documentazione relativa alle autorizzazioni di Arcidiacono senza peraltro avvisare preventivamente la stessa, così come richiederebbe la procedura normativa. Il tutto accompagnato da un provvedimento di rigetto alla richiesta di accesso alle autorizzazioni dell'attività di Arcidiacono effettuata dal legale di Longhitano. Che, però, per il pubblico ministero erano già stati rilasciati prima di informare l'interessata e prima ancora dello scadere del termine per presentare opposizione alla richiesta.
A dirlo, il 27 marzo 2021, nella memoria difensiva è lo stesso legale di Longhitano, Giuseppe Sciuto, che all'organo giudicante non faceva mistero di aver acquisito, sebbene ci fosse un provvedimento di rigetto, la documentazione amministrativa per le autorizzazioni rilasciate ad Arcidiacono. «A seguito di recente formale accesso agli atti presso il Comune di Gravina di Catania, Ufficio Suap del 19 marzo, il sottoscritto ha acquisito documentazione in merito alle autorizzazioni rilasciate alla stessa», dichiarava Sciuto tre giorni dopo la scadenza dei termini per ottenere una risposta dall'amministrazione. Il 12 aprile, ovvero circa un mese dopo, Gambera invia una pec al legale informandolo dell'istanza di rigetto. Un rigetto di atti che il legale aveva già dichiarato di possedere un mese prima. Un cortocircuito, dunque, che però non è stato considerato elemento sufficiente per sostenere l'accusa in giudizio. Per questo pm e gip hanno richiesto e disposto l'archiviazione. «Non basta l'atteggiamento "non iure" (contro la legge, nda) dell'indagato - sono le motivazioni che si leggono nell'ordinanza di archiviazione disposta per mancanza di elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio - ma per supportare l'accusa di falso è necessario trovare conferma in altri elementi sintomatici come la competenza professionale, l'apparato motivazionale su cui riposa il provvedimento e i rapporti personali tra l'agente e il soggetto che dal provvedimento riceve un vantaggio patrimoniale». In altri termini: non si discute sull'aver o meno commesso il fatto, si discute sulla sufficienza di elementi di prova per dimostrarlo.