«Senzatetto da anni, lo Stato non mi ha mai aiutato»
Giovanni (nome di fantasia) ha 56 anni. Da circa venti vive per strada e tira a campare: un po' parcheggiatore, un po' rigattiere, un po' artigiano. Una vita passata a fare la spola tra dentro e fuori le carceri italiane. Perché Giovanni ha fatto anche il rapinatore. E, a quanto pare, era pure bravo. «Mi chiamavano l'uomo ragno perché riuscivo ad arrampicarmi ovunque», racconta a questo giornale. Lo fa alternando un pizzico di vanto alla consapevolezza di avere sbagliato. A incrociare il suo sguardo, sebbene consci dei precedenti penali, non si riesce a detestarlo. Anzi, tutt'altro. E la sensazione che si prova lascia interdetti. Perché quello che appare è solo un'immensa umanità. Intorpidita da anni dietro le sbarre, tanto male inflitto e subito, e da una vita abbastanza complicata. Questa è la sua storia.
Da un paio di anni Giovanni vive al civico 6 di via Luigi Castiglione, lo slargo che fa angolo con via Cosentino, a pochi metri dall'area mercatale di piazza Carlo Alberto. Un'abitazione diroccata e abbandonata di cui integre sono rimaste solo le mura perimetrali. Il tetto è crollato diversi anni fa. Quella casa, tra vicini amici e disposti ad aiutarlo ogni giorno e chi, invece, gradisce meno gli eccessi a cui spesso si lascia andare, è diventata l'abitazione di fortuna di Giovanni. Almeno fino a ieri, quando a causa di una disattenzione dovuta a un colpo di sonno, l'edificio è andato in fumo. E a pagarne le conseguenze è stato il cane Eros, che non è riuscito a sopravvivere al divampare delle fiamme, il cui sviluppo si deve anche alla quantità di materiale raccolto e accumulato all'interno dell'abitazione, tra regali e opere artigianali. Giovanni invece ha riportato solo qualche ustione superficiale.
Ieri in via Castiglione c'era un capannello di persone. Tutti con lo sguardo rivolto a quella che è diventata la sua abitazione. Tutti preoccupati per le condizioni di salute di Eros che, per Giovanni, era più di un cane. Era il suo compagno di vita. E per i residenti era un altro vicino di casa. Mentre i vigili del fuoco di Catania fanno la spola tra dentro e fuori l'abitazione per completare le operazioni di spegnimento, Giovanni è visibilmente agitato. Ma non dà in escandescenza. «Cosa è successo, è morto Eros?», gli chiede chi lo incontra per strada. «Non ho più niente, né una casa e nemmeno il mio cane», risponde Giovanni tra lacrime e ringraziamenti ai tanti che gli portano coperte e cibo. A guardarlo negli occhi si percepisce come dietro le disavventure che lo hanno portato a condurre una vita diversa c'è tanta sofferenza e un passato torbido, ma anche la voglia (che va e viene) di cambiare vita. Un desiderio difficile da realizzare senza l'ausilio dello Stato. Un passato che, però, Giovanni ha deciso di mettere da parte. Lasciandosi alle spalle gli anni '90 quando a Catania la mafia uccideva per niente. E la politica stava a guardare. Di queste storie Giovanni ne sa più di una e non ha problemi a raccontarle. Perché quegli anni li ha vissuti in prima persona. Così tra un caffè e una sigaretta, parla e si sfoga: racconta della sua vita prima che decidesse di cambiarla, delle regole del carcere e del male che ha subito e che ha provocato. Il mio accendino ha esaurito il gas, così lo chiedo a lui. Più volte. «Ce li hai cinque centesimi?», mi chiede ironico. «Perché in carcere noi il fuoco non lo regaliamo», mi spiega.
Mentre parliamo, qualche commerciante si avvicina con due buste piene di viveri, altri gli donano vestiti e un pigiama. Qualcuno gli offre un caffè e in tanti si preoccupano di dove passerà la notte. «Adesso mi sdraio lì - dice convinto Giovanni indicando lo spazio adiacente all'edificio ormai inaccessibile che ha adibito a improvvisato ripostiglio coperto da un telone -, a me non spaventa dormire fuori». Alla fine, a seguito dell'intervento dell'associazione Arbor-Unione per gli invisibili, Giovanni si convince a trascorrere la notte nel dormitorio al civico 17 di via Filippo Eredia. La struttura messa a disposizione dal Comune per supplire alla carenza di posti letto dopo la scadenza del bando relativo alla gestione della struttura di via Delpino, a Librino. Il bene confiscato alla mafia che adesso, dopo un anno di attività, rischia di rimanere inutilizzato e lasciato nuovamente all'incuria. Questione, questa, di rilevante importanza se si considera che nel plesso di via Eredia sono rimasti solo circa venti posti letto disponibili su un totale di 50. Un numero insufficiente per la mole di ricoveri previsti nei prossimi mesi dalle unità di strada. Soprattutto se si considera che, come per via Delpino, anche questa non è altro che una soluzione tampone con durata limitata di un anno, allo scadere del quale si dovrà ripensare a come affrontare l'emergenza dei senza fissa dimora.
Dopo aver racimolato un po' di tabacco, comprato dei panini, salutato il suo «gatto milanese», così lo presenta ai volontari, Giovanni sale sull'auto per dirigersi al dormitorio. Prima però tiene a ringraziare le persone che lo hanno aiutato. E lo fa con un regalo. Un quadro. «È Marilyn Monroe, la più bella donna al mondo, anche se adesso non c'è più - dice Giovanni -, ho sempre voluto conoscerla». In quello che è un comportamento tipico di chi ha poco o nulla. «Chi non ha niente, dà tutto, è sempre così», spiega un volontario delle associazioni. Adesso per Giovanni, la speranza è che cominci un nuovo cammino, un nuovo percorso con l'obiettivo di ottenere i documenti di identità e la residenza. «La chiedo da anni, ma nessuno mi ha mai aiutato seriamente», dice sconsolato Giovanni.