«Correvo scalzo verso un gommone, adesso la mia vita è cambiata»
«Correvo a piedi scalzi verso i gommoni per il viaggio da Alessandria a Messina». Il ricordo è impresso nella mente di Hesham. Ventidue anni, per fuggire da una vita in Egitto che offriva solo due strade (la povertà o la delinquenza violenta) si è trovato costretto a lottare con altri in una corsa sfrenata per guadagnare un posto a bordo di un mezzo di fortuna. Un gommone con cui raggiungere la Sicilia e il sogno di cambiare vita. È giovane Esham e quando è approdato a Messina, dopo sei giorni di viaggio con un tozzo di pane e un po' di acqua ogni 24 ore, non credeva ai suoi occhi. «Metà del tragitto l'ho trascorso svenuto perché la stanchezza era tanta e il cibo scarseggiava», racconta Hesham. Lo fa con il sorriso e concedendosi di tanto in tanto qualche battuta. Parla bene l'italiano e non accenna a lacrime o sofferenza. «Perché nonostante non siano bei ricordi, io sono quel che sono anche grazie a queste esperienze», ripete più di una volta. Cresciuto senza padre, deceduto quando Hesham aveva solo tre anni. La madre si è rifatta una vita sposando un altro uomo. Ha vissuto infanzia e adolescenza con la nonna e la sorella. Poi ha deciso di cambiare qualcosa. Non si ritrovava nell'essere costretto a optare tra la malavita e la povertà: le uniche strade che gli offriva il quartiere in cui è cresciuto. Convinto che «siamo noi a dover fare il mondo e non il contrario». Così si è messo alla ricerca di una terza via. Approdato a Messina nel 2014, dopo un periodo nel Cas, il Centro di accoglienza straordinaria, viene trasferito ad Acireale, al consorzio il Nodo, dove trascorre quattro anni e il sogno comincia a diventare realtà: dall'accompagnamento alla crescita dentro e fuori la comunità fino all'esercizio della professione di cuoco. Adesso ha deciso di rimanere a collaborare. «Non si libereranno più di me», ironizza Esham. Che è uno dei care leavers aiutato dagli operatori del consorzio. Ovvero coloro i quali al compimento della maggiore età, vivono fuori dalla famiglia di origine.
Il progetto Barrio21
Oggi è uno dei mediatori che supporta il progetto Barrio21: la destinazione ai care leavers di due appartamenti ancora da ristrutturare all'interno di un immobile nel quartiere di Barriera dove ragazze e ragazzi neomaggiorenni, provenienti da situazioni fragili saranno accompagnati verso l’autonomia. Ovvero i giovani tra i 18 e i 21 anni che hanno necessità di un accompagnamento formativo e assistenziale propedeutico all'inserimento nel mondo del lavoro e all'autonomia. Per un progetto che sembra voler costruire una comunità all'esterno della comunità. Barrio (quartiere in spagnolo, nda) e 21, come l’età in cui i giovani adulti – italiani e stranieri – devono concludere l'esperienza nei sistemi di accoglienza per cominciare a camminare con le proprie gambe, spesso senza avere gli strumenti per farlo. Barrio21 sarà questo: uno strumento, oltre che una casa. Un progetto utile ma anche un messaggio che arriva da molte realtà del terzo settore: «Rioccupiamoci di sociale e facciamolo bene». È, in sintesi, il tenore di quanto discusso oggi all'evento di presentazione tenutosi a Palazzo della cultura. Una visione etica della società che mira ad abituare il cittadino all'accettazione della povertà nella propria idea di socialità. Visione che sembra unire il consorzio Il nodo e la fondazione Illimity dell'omonimo gruppo bancario fondato dall'ex ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, amministratore delegato di Illimity bank spa, che ha messo a disposizione dell'accoglienza l'immobile di via Guglielmino, a pochi metri da via Del Bosco. Inizialmente in stato di deterioramento, adesso in fase di ristrutturazione: i lavori dovrebbero concludersi entro aprile ed a maggio si dovrebbe concretizzare il trasferimento delle prime otto persone all'interno dei due appartamenti.
L'evento di presentazione
«Le banche hanno un ingente patrimonio immobiliare - spiega Elena Perriello di Illimity -, spesso però gli immobili restano sfitti e abbandonati. Così, sebbene non siamo così grandi da poter elargire chissà quali somme, abbiamo pensato di mettere i nostri a disposizione della collettività e di iniziative a impatto sociale - prosegue -. Perché una banca può fin dall'inizio fare qualcosa per i propri azionisti e qualcosa per la società». È anche questo il senso dell'incontro moderato da Roberto Bonifazi, esperto del terzo settore, manager e progettista in ambito sociale in Illimity. «Stiamo vicini ai ragazzi creando cose utili al loro sviluppo sociale», è l'obiettivo per Elena Tribulato del consorzio Il Nodo. Ma le difficoltà derivano dalla frammentarietà delle norme regionali, nazionali ed europee. «Diverse azioni delle risorse per progetti stranieri minori, italiani, per i neet» spiega Tribulato. Tematiche queste a cui corrispondono gli enti che le governano. «I diversi enti pubblici e privati con cui ci interfacciamo a livello nazionale tra ministeri e consulte - prosegue -, in Europa da un lato c'è una grande semplificazione e dall'altro altra burocrazia con la richiesta di registrarci a livello europeo». Ma la difficoltà principale, secondo Tribulato, sta nelle condizioni lavorative degli educatori. Ovvero di quelle figure che si occupano dell'accompagnamento formativo e dell'inserimento lavorativo dei care givers. «L'educatore dei servizi assistenziali e residenziali per i minori è una sorta di eroe, lavora quaranta ore per essere pagato per trenta», è la posizione della progettista sociale. «Bisogna investire sugli educatori - conclude - perché un uomo cresce solo se è tutto il villaggio a educarlo», dice Tribulato richiamando un detto africano.
Altro aspetto è il complicato rapporto con gli enti istituzionali: dalla Regione ai Comuni fino ai distretti socio-sanitari. A sottolinearlo è la dirigente regionale alle politiche sociali Maria Letizia Di Liberti. «Tra le criticità c'è il ruolo dei distretti sociosanitari, perché le risorse passano da lì, vengono trasferiti lì - attacca la dirigente -, se noi non riceviamo i progetti come possiamo farli partire». In un'organizzazione viziata, a dire di Di Liberti, da «una gestione farraginosa delle risorse economiche: perché un Comune capofila con problemi di bilancio non potrà mai trasferire risorse». Il secondo problema è il personale. «C'è una carenza di personale strutturato e una carenza di interesse», sostiene la dirigente. «Dei 55 distretti, nel 2018 solo Palermo e Messina hanno aderito, nel 2019 solo Palermo, nel 2020 Catania che ha rinunziato, nel 2021 Catania e Ragusa. Nel 2022 e nel 2023 non abbiamo ancora la versione di alcuni distretti». In presenza di queste criticità per gli addetti ai lavori sembrerebbe difficile implementare e sorreggere un sistema regionale di accompagnamento che sia produttivo.