L’altro autosalone e i depositi di droga da Gravina a Misterbianco
Vetrate a parete e un cancelletto di metallo. Due terreni distinti che, dal 2008 al 2020, diventano parte di un'unica attività. Un lato destinato alla vendita, esposizione e noleggio di autovetture. L'altro adibito ad autolavaggio. Ci sarebbe stato un altro autosalone in cui i fratelli Vitale avrebbero smistato i proventi dell'attività di traffico e spaccio di stupefacenti. Oltre a quello di Vincenzo Florio, in via Gramsci a Gravina, a ospitare i dialoghi dei sodali dell'associazione a delinquere semplice, poi finiti nei brogliacci delle intercettazioni dell'inchiesta Slot Machine, ci sarebbero state anche le attività imprenditoriali di Autosalone da Antonio Florio e l'Autonoleggio duemiladiciannove, riunite per un determinato periodo nella sigla Autosalone Catania da Florio Antonio, in via Acquario.
Il territorio è sempre quello tra Gravina, Mascalucia, San Giovanni Galermo. Zone, queste, in cui politica, imprenditoria e criminalità sembrano viaggiare di pari passo con legami e collegamenti sempre più intricati. Stando alle carte dell'inchiesta, l'autosalone sarebbe stato intestato solo formalmente a Carbonaro, ma di fatto sarebbe stato gestito da Antonio Giuseppe Florio (non indagato, nda) per conto del padre Vincenzo, effettivo titolare dell'altro autosalone realizzato nella strada che collega Gravina a Mascalucia. Florio junior non sarebbe mai stato titolare di alcuna impresa e i redditi percepiti sarebbero derivati dalla ditta di Mario Carbonaro, ma solo a partire dal 2019. Attività, quella di Carbonaro, che però non ha mai esercitato nei terreni di via Acquario. Piuttosto avrebbe solo ricoperto il ruolo di prestanome di Enzo Florio. Così come a ricoprire lo stesso ruolo sarebbe stato anche Gaetano Fazio, subentrato al posto di Carbonaro nella titolarità dei rapporti aziendali. A metterlo nero su bianco nell'ordinanza di custodia cautelare è la guardia di finanza. «(Florio padre) Ha manifestato una particolare versatilità nell'intestare a terzi immobili e compendi aziendali a lui riconducibili risultando in apparenza quasi del tutto incapiente - scrivono gli inquirenti - ma di fatto procedendo con celerità e spregiudicatezza a continui passaggi di proprietà, modifiche nella compagine societaria delle imprese, trasformazioni e innovazioni delle partite Iva per le ditte individuali».
I depositi, i custodi della droga e la piantagione di marijuana da cinquemila piante
Un'organizzazione capillare quella dei fratelli Vitale che, per il traffico di sostanze stupefacenti, non si sarebbero avvalsi solo di fornitori e corrieri. Serviva un posto, o più posti, dove tenere la droga. Così le case dei familiari sarebbero diventati depositi dove nascondere lo stupefacente e, talvolta, anche luoghi adatti alla preparazione delle dosi. Da un garage in via Balatelle fino alla casa di Aiello Salvatore, meglio noto come il Mutilato, ora deceduto. Accanto al portone d'ingresso di via De Sica, a Misterbianco, non c'è un campanello. Compare solo una scritta sul muro fatta con un pennarello: prima il cognome e poi il nome. Anche se per quest'ultimo lo scrivente si è reso conto troppo tardi che lo spazio era troppo limitato. Così si è fermato ad "Aiello Salvat", per poi ricopiare "Salvatore" per intero subito sotto. Due nomi al prezzo di uno. Deceduto Salvatore, sarebbe spettato al fratello ricoprire il ruolo di custode. E per ricompensarlo c'era a «simanata»: ovvero dieci grammi di cocaina a settimana. Nessuno stipendio in denaro. Della sostanza poi avrebbe deciso lui stesso cosa farne: se consumarla oppure rivenderla. Perché Aiello avrebbe avuto anche una sua clientela. Entrambi i fratelli, Matteo e Salvo, avrebbero «pagato un omicidio», racconta captato dalle microspie Pinuccio Vitale a Salvatore Guarsegna, meglio noto con l'appellativo di Turi Candeggina. Un modo per dire che sono stati entrambi condannati per omicidio doloso. Oltre ai depositi di Misterbianco e Balatelle, gli inquirenti ne avrebbero individuati altri due: uno in via Filippo corridoni a Gravina e l'altro in via Alloro, al villaggio Ippocampo di mare.
Se l'imputazione principale dell'inchiesta è l'associazione a delinquere semplice, gli inquirenti non escludono elementi di gravità indiziaria anche di stampo mafioso relativamente alla vicinanza di Santo Aiello, il terzo fratello, al clan mafioso Cappello-Bonaccorsi. Guarsegna, invece, secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si sarebbe occupato di traffico di stupefacenti. Sarebbe stato corriere e avrebbe aiutato i Vitale nella vendita della sostanza. E poi c'è Turi Copia che avrebbe sempre procurato ai Vitale ingenti quantitativi di marijuana. «Ti ho detto una parola, ti abbiamo dato quindici chili», diceva intercettato Copia a un altro sodale che gli assicurava che gli avrebbe fatto fare un affare. Si parla di piantagioni. «Questa l'anno scorso l'abbiamo fatta anche - replicava l'interlocutore -, ogni tre giorni veniamo qua e le annaffiamo. Sono cinquemila piante». In altri termini: «Ti ho detto 500 chili, ma sono 200, ci stiamo tenendo nel nostro».