Giovanni era un giornalista. Un giornalista di carta stampata. Di quelli che ogni giorno devono fare le corse per chiudere il giornale, perché le rotative non aspettano. Scriveva bene ed era preciso nei contenuti, gli scappava solo qualche piccolo refuso ogni tanto. Roba da poco. Era giovane Giovanni e aveva un sogno: quello di diventare un buon giornalista. Così ha cominciato a barcamenarsi tra paghe da fame, ore sotto il sole cocente, la pioggia battente e le linee editoriali dei diversi giornali. E non se n’è saputo più niente.
Paola, 30 anni, è redattrice di un giornale online. Tre anni passati davanti a una scrivania, ogni giorno, ogni ora. Copia e incolla agenzie e comunicati stampa. Perché così le è stato detto di fare. E lei lo fa. Il desk è un’attività impegnativa, anche se fai solo copia e incolla di note e dichiarazioni. E il tempo per poter scrivere due righe di proprio pugno è sempre di meno. Paola è anche una mamma. E il tempo è sempre di meno.
Giuseppe guadagna bene nel suo giornale. Arriva ogni giorno puntuale in redazione. Alle 8.30 spaccate lui è lì, ha aperto il suo portatile e, dopo la rassegna stampa, è pronto già a fare il primo pezzo. Un pezzo di politica. Ma la politica prima incassa e poi punisce. E Giuseppe è stato punito.
Martina si occupa di cronaca giudiziaria. Come scrive lei un pezzo di giudiziaria, nessuno. È brava perché riesce a raccontarti una storia traducendola dalle carte, andando oltre il burocratese. È davvero brava Martina. Le ore di lavoro le passerebbe volentieri in tribunale, ma è in redazione, davanti alla scrivania, a copiare e incollare comunicati stampa. Perché il suo direttore questo vuole.
Marco scrive di appalti. Almeno questo è il compito che gli hanno affidato. In realtà scrive di tutto. Come un buon giornalista dovrebbe fare. Petulante Marco, ma ha gran cuore e buone fonti. Ora il tempo che prima dedicava a stanare mafiosi e colletti bianchi lo passa a preparare la linea difensiva contro il suo editore, che lo ha sospeso.
Alessandra, invece, ha 34 anni. Non ha una famiglia e non è fidanzata. Era redattrice di un giornale regionale. Alcuni suoi articoli sono finiti anche tra le pagine di un noto giornale nazionale. Il suo editore l’ha piazzata al reparto vendite. Adesso invece di riempirle le pagine del giornale, le vende.
Giacomo scrive di politica. Rifiuta ogni contatto con i politici che non sia di lavoro e non gli piace presenziare nei salotti. E scrive di politica. Un cane senza padroni. Dice sempre che se c’è la mafia è colpa della politica. “Del resto sono i politici che vanno a cercare i voti dai mafiosi e non il contrario”, ripete costantemente. Se bisogna fare il cane da guardia della democrazia, lui la cuccia la vuole davanti alla politica. E non c’è verso di fargli cambiare idea. Insomma, per Giacomo, politica e giornalismo corrono su binari paralleli. E questi non devono mai incrociarsi. Giacomo si è dimesso dall’ultimo giornale per cui lavorava perché non accettava di fare marchette a destra, a sinistra e al centro.
Stefano scriveva di sport. Non era il classico cronista sportivo. Da una partita riusciva a tirare fuori una storia che non si limitava alla nuda cronaca della competizione. Era davvero bravo Stefano. Collaborava con una testata giornalistica regionale. Dopo anni di duro lavoro ha lasciato perché cinque euro a pezzo non bastavano più.
Bruna scriveva di mafia. Un tempo le avrebbero detto di essere una giornalista antimafia. Qualcuno glielo dice anche adesso. Ma a lei non è mai piaciuta questa definizione. Perché, dice sempre, “mica bisogna definirsi antimafia per essere contro la mafia o per scrivere di mafia. La parola antimafia è già contenuta nella parola giornalista”, aggiunge con tono sprezzante mentre ti fa l’occhiolino. Una molto in gamba Bruna. Ora non scrive più. Ha aperto un bar.
Cesare da giovane aveva un sogno: voleva diventare un bravo giornalista con la schiena dritta. Adesso è rassegnato e passa le sue giornate in redazione. "Sono tutti un pugno di venduti, ma non sarò io a ostacolare il tuo masochismo qualora intravedessi uno spiraglio", diceva Cesare a un giovane che gli aveva chiesto se ci fosse la disponibilità di collaborare.
Bartolo. Un buon giornalista. Poi ha smesso. "In questo Paese le cose cambiano, sempre se cambiano, solo se muore qualcuno". Ne è proprio convinto Bartolo.