«Ok a transazione, no agli interessi». Altri 45 persi per depuratore Pantano D’Arci
Ci sono 45 milioni di euro impiegati per la fornitura d'acqua, il servizio autobotti e il conferimento dei rifiuti liquidi al depuratore di Pantano D'Arci. Siamo nel 2015 ai tempi in cui Sidra era presieduta da Marco Vitale, espressione degli autonomisti, e cominciava ad occuparsi della depurazione delle acque. Dieci anni dopo l'impianto manca ancora della fase di affinamento delle acque che pertanto, e in relazione alla normativa vigente e all’ultimo decreto pubblicato dal Dipartimento acqua e rifiuti regionale, non possono essere riutilizzate in agricoltura. Perché, per stessa ammissione dell'assessore regionale Salvatore Barbagallo, le acque reflue sversate in mare non sono idonee al riutilizzo agricolo.
Poi ci sono altri 53 milioni, derivanti da spese di servizio, dalla fornitura ad Acque Casalotto, dall'erogazione agli alloggi popolari di Librino e da altri non meglio precisati crediti. Tutti oggetto di un altro decreto ingiunitivo stavolta più recente, datato settembre 2024 per il quale la giunta comunale a novembre decide di procedere a transazione con Sidra spa. Anche perché il Comune vanta nei confronti di Sidra un credito di 7 milioni di euro, per i quali i due enti decidono di procedere con la compensazione. Rinunciando Sidra al suo diritto di poter esigere il credito alla fine del dissesto.
Un'operazione con la quale la partecipata dell'acqua a fronte dei 47 milioni di euro - cifra ottenuta dal corretto calcolo dell'avvenuta compensazione - ne recupera solo sei. In pratica la società partecipata ha preferito un ristoro veloce sebbene molto più esiguo subito, piuttosto che attendere la fine del dissesto per ottenere l'intera somma del credito vantato nei confronti del Comune. Con la conseguenza di poter incorrere in futuro in danno erariale per il mancato recupero delle somme.
Una storia che comincia nel 2010, quando Comune e Sidra decidono di definire i costi della gestione del servizio di fognatura, e viene riassunta passo dopo passo nella documentazione comunale, sebbene con carenze di dettagli che non permettono una ricostruzione completa. Circa dieci anni dopo l'instaurazione del primo debito, cambia il presidente ma le modalità di gestione delle obbligazioni no. Da allora si è persa traccia di circa 98 milioni di euro.
«La proposta mi sembra ragionevole e non ho motivo di non accettarla», dichiara il presidente di Sidra Fabio Fatuzzo. «Perché dai 53 milioni si devono defalcare 19 milioni di interessi, 13 milioni di debiti messi a perdita e sette milioni vantati dal Comune oggetto di compensazione: da qui il credito di sei milioni», sono i calcoli del presidente. Peccato, però, che conti alla mano, sottraendo le stesse cifre dlla somma originaria si arrivi a 14 milioni e non di sei.
Calcoli a parte, il debito si protrae da circa venti anni. Precisamente dal 2001 quando l'ex Azienda acquedotto municipale di Catania poi trasformata in Sidra, trasmette all'amministrazione tre fatture relative al rapporto con Casalotto acque, basato sul contratto risalente al 1970, dall'importo complessivo di circa «cinque miliardi delle vecchie lire più iva pari a 500 milioni di lire», si legge nella delibera di giunta con la quale si procede alla transazione. «Il Comune prese degli impegni con Casalotto spa - spiega Fatuzzo - che consistevano anche nel dare acqua alla ditta con interventi di sostegno per recuperare alcuni servizi che Sidra rende al Comune». Soldi il cui pagamento viene però contestato da Palazzo degli Elefanti che sette anni dopo cede diritti e obblighi nascenti dal rapporto obbligazionario a Sidra spa. Ed è qui che nasce il primo debito pari a 200mila euro che Acque di Casalotto avrebbe dovuto corrispondere a Sidra per la fornitura di acqua per il periodo compreso tra luglio e novembre 2008.
Così nel 2010 nasce l'esigenza di riordinare l'assetto dei costi di gestione e adottare un unico criterio di calcolo che viene formalizzato in un delibera comunale. La quale viene sostanzialmente annullata cinque anni dopo quando il Comune, dopo espressa rinuncia di Sidra, fa lo stesso con i rimborsi delle spese di sollevamento della riserva di acqua sostenute dal 1975 al 2015, reputando non vincolante la delibera del 2010.
Due anni prima il tribunale emetteva il primo decreto ingiunitivo nei confronti del Comune per 45 milioni di euro relativi alla fornitura di energia elettrica, di acqua e il conferimento dei rifiuti liquidi all'impianto di depurazione di Pantano D'Arci. Una vicenda che non è ricostruita però nelle carte così come non viene indicato che fine ha fatto il debito precedente se non con un accenno all'arbitrato. Solo sei mesi dopo Sidra viene autorizzata ad assumere la gestione del servizio idrico al Comune di Catania.
Le condizioni del depuratore e i soldi di Pogliese
I 98 milioni spesi per la manutenzione delle fognature, depurazione delle acque e conferimento dei rifiuti liquidi al depuratore Pantano d'Arci si aggiungono ai 393 milioni di euro allo stesso titolo varati dall'amministrazione guidata di Salvo Pogliese a gennaio 2020. L'erogazione dei quali è stata annunciata in pompa magna: «Avremo un sistema degno di una città civile, visto che mai si era giunti a questo livello di avanzamento delle opere depurative - commentava Pogliese - uno degli interventi più rilevanti dell’azione commissariale: un impegno economico ingente per portare una città così importante fuori dal dissesto». Con essa l'ex sindaco faceva un altro nodo al fazzoletto per il completamento dei 280 chilometri di rete fognaria che, a detta dell'allora primo cittadino, avrebbe consegnato un depuratore in ottime condizioni. Quattro anni dopo le acque depurate non sono utilizzabili, il fiume Arci sversa in mare con liquami industriali (guarda il video) e di quei 393 milioni di euro non se ne sa nulla.
Nel 2017 si apre un altro rapporto debito credito che arriva a 47 milioni per poi raggiungere i 49 milioni nel 2018, fino a superare i 50 milioni di euro nel 2019 quando Sidra presenta istanza di ammissione alla massa passiva per 53 milioni e rotti. Di cui però solo 2 milioni e 420mila euro vengono ammessi. Così Sidra contesta il preavviso di rigetto e prova un tentativo di conciliazione che però non avviene. Almeno non avviene subito, non prima di un ulteriore decreto ingiuntivo che viene notificato al Comune di Catania a settembre 2024. Stavolta però di 53 milioni di euro.
Al decreto fa opposizione il Comune, ma pare che il procedimento non sia destinato a continuare per sopravvenuto accordo tra le parti che riconosce a Sidra un credito di 34 milioni. Con un ammanco di 21 milioni rispetto agli originari 53. Mancanza che Fatuzzo giustifica con la messa a perdita di alcune somme. Che però non compaiono nella delibera del Comune di Catania. Come si arriva dai 53 ai 34 milioni e infine ai sei milioni di euro riconosciuti a Sidra resta comunque un mistero.
O meglio, ironizzano dal gruppo consiliare del Movimento cinque stelle, «un risultato straordinario e un capolavoro negoziale che dimostra come il Comune abbia saputo tutelare con grande maestria l’interesse pubblico». I consiglieri Gianina Ciancio e Graziano Bonaccorsi si chiedono se la transazione in oggetto è conforme alle indicazioni della Corte dei Conti sulla gestione delle società partecipate, in particolare rispetto alla legittimità della rinuncia al credito e alla valutazione dei rischi connessi alla controversia e quali garanzie siano state predisposte per evitare che situazioni analoghe si ripresentino in futuro, data la rilevanza strategica della gestione del servizio idrico e della relazione con Sidra spa. La questione è oggetto di interrogazione comunale.
Interessi e crediti a perdere secondo i calcoli di Fatuzzo
«Abbiamo presentato il decreto ingiuntivo e il Comune si è opposto e ci ha fatto una proposta di transazione dove ci riconosce sei milioni - commenta il presidente - In ogni caso e a prescindere dai conti il Municipio non potrebbe sostenere il costo di 53 milioni e si è comportato così con tutti i creditori». In realtà il presidente, in un momento di concitazione, sbaglia i conti. Perché anche volendo ammettere che le operazioni di calcolo effettuate da Comune e da Sidra siano corrette, detraendo dalla cifra di 53 milioni, i 34 milioni riconosciuti dal Comune, i 13 milioni che Fatuzzo imputa a crediti messi a perdere e i 19 milioni di interessi, il totale rimanente è pari a 14 milioni.
«Il comune è in dissesto e gli interessi vanno messi da parte e non riconosciuti, non maturano come nel fallimento e restano solo le somme effettivamente dovute», si giustifica Fatuzzo. Un ammontare, quello relativo agli interessi - il cui calcolo non compare nella proposta di transazione ma secondo il presidente avrebbe portato la cifra da 53 a 34 -, che corrisponderebbe, secondo i conti di Fatuzzo, a 19 milioni di euro. In realtà però le cose starebbero diversamente perché, sebbene l'articolo 241 del Tuel dice che in caso di dissesto finanziario i debiti insoluti non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria, è anche vero che gli stessi possano essere pretesi a fine dissesto, ovvero quando la società o l'ente, in questo caso il Comune di Catania, ritorni in bonis.
A dirlo sono diverse sentenze del Tar e del Consiglio di Stato sull'interpretazione della norma del Testo unico degli enti locali. Circostanze che, però, Sidra pare non aver preso in considerazione preferendo la transazione di un debito che si protrae da circa 20 anni senza essere mai stato soddisfatto e che avrebbe potuto pretendere a fine dissesto. La transazione però, stando al decreto ingiuntivo secondo quanto si legge nella delibera di giunta, fa perdere circa 47 milioni a Sidra.
I nostri conti al presidente non tornano. Che, oltre agli interessi, fa valere anche i crediti messi a perdere nella detrazione dall'ammontare complessivo del debito in via di transazione. «Negli anni abbiamo accumulato crediti messi a perdere pari a 19 milioni di cui non si deve tener conto nel calcolo del debito». Fatuzzo parla di quei crediti che per condizioni del debitore non sono più esigibili. Cioè considerati irrecuperabili.
La disciplina in merito stabilisce che tali crediti possono essere cancellati solo se di modesta entità, che il Tuir fissa in cinquemila euro per le imprese di più grandi dimensioni, come Sirdra, purché supportati da documentazione idonea ad attestare la definitiva inesigibilità del credito (come l’esito negativo di azioni esecutive per il recupero) e dalla transazione con il debitore. Il nostro giornale non è riuscito a recuperare i documenti che possano attestare la legittimità delle operazioni di messa a perdita. Di cui, peraltro, nella delibera di giunta no c'è traccia e non c'è nemmeno, così come per gli interessi, una documentazione del mancato realizzo e del carattere definitivo delle stessa inesigibilità o la prova che Sidra abbia negativamente intentato le azioni legali per il recupero del credito.