«Rispetto la legge». E perché non si dimette? «A questa domanda non rispondo»
Braccio alzato e forma smagliante. Toni eleganti ed educati. Forma impeccabile, sostanza zero. Coscienza? Quella a cui dice di appellarsi, in realtà, non esiste. C'è un consigliere comunale che è stato condannato a due anni di reclusione per corruzione elettorale. È anche vicepresidente vicario del senato cittadino con la compiacenza della politica. A sentire Enrico Trantino nella seduta di ieri, solo con la fiducia del Consiglio e non dell'amministrazione. «Semmai io l'ho chiamata cercando di dissuaderla dalla candidatura alla vicepresidenza», replica il sindaco in Consiglio all'arringa difensiva del consigliere. È vicino, se non per verità processuale ma per parentela, al clan dei Carcagnusi perché è il fratello di uno dei suoi presunti affiliati: Gaetano Pellegrino, alias ‘u funciutu, ritenuto tra i più vicini consiglieri del capomafia Nuccio Mazzei. Ma a Riccardo Pellegrino non passa nemmeno per l'anticamera del cervello di dimettersi. «Mi dispiace, non mi dimetto», dice a questo giornale. A parole paladino della legalità, nei fatti non lo preoccupa la legge e nemmeno l'opportunità di ricoprire un ruolo all'interno di un'istituzione, qual è, ancora e nonostante le apparenze, il Comune di Catania.
La condanna per corruzione elettorale è stata al centro della seduta tenutasi ieri a sala Verga in cui Pellegrino si è trovato nella difficile circostanza di doversi difendere dall'indifendibile. Nonostante alla condanna per corruzione segua, per legge, l'ineleggibilità del consigliere comunale e, conseguentemente, dovrebbero seguire le dimissioni, Pellegrino persevera. Da una parte dichiara di non volersi dimettere e dall'altra promette di continuare a ricoprire il suo ruolo nel rispetto della legalità «come ho sempre fatto». Nel frattempo invita «i giornalisti a studiare meglio».
Caro consigliere, la invitiamo a leggere gli articoli e non solo i titoli. Perché, da consigliere e nel rispetto della legalità, anche questo è un suo dovere. Così, dal momento che non c'è verso di farle capire che lei non può sedere in Consiglio comunale, glielo spieghiamo per l'ennesima volta, rivolgendoci direttamente a lei e a tutta la pletora di persone che si imbarazzano ma non la cacciano. Perché questo dovrebbero fare, per almeno due motivi: per la legalità da lei tanto ostentata volutamente e in maniera ipocrita e per una questione morale che questa amministrazione e questo consiglio comunale sembra non volere considerare. E se lo fa, solo quando conviene.
La legge, in particolare la disposizione di cui all'articolo 102 numero 570 del 1960, la stessa legge per la quale è stato condannato per corruzione elettorale stabilisce che alla condanna segue l'ineleggibilità di chi ha commesso il reato. Nulla c'entra la pena sospesa che lei tira in ballo come giustificazione delle mancate dimissioni. Sa perché? Perché è la stessa legge che lo stabilisce. Quella che lei dice di rispettare. «Ai reati elettorali non sono applicabili le disposizioni degli articoli dal 163 al 167 e 175 del codice penale e dell'art. 487 del Codice di procedura penale - che lei tira in ballo al contrario -, relative alla sospensione condizionale della pena...».
In parole semplici: la sospensione della pena che lei e il suo legale continuate a citare, solo perché la giudice Dora Anastasi l'ha inserita nel dispositivo della sentenza (erroneamente, lo ribadiamo, anche se sicuri della sua buona fede, ndr) non può applicarsi ai reati elettorali. Significa, qualora non fosse ancora chiaro, che: la sentenza è corretta nella parte in cui la condanna alla sospensione da qualunque diritto elettorale (attivo e passivo) ma fa un buco nell'acqua quando cita l'articolo 163 del codice penale disponendo la sospensione della pena. Perché, lo ripetiamo nuovamente, quest'ultima non può applicarsi alla corruzione elettorale.
Da qui una duplice conseguenza: lei può fare appello, per carità è un suo diritto, ma si deve dimettere da vicepresidente del Consiglio comunale e da consigliere perché è ineleggibile. Tutto il resto, ovvero le repliche, gli interventi in aula, le finzioni e le parole piene di ipocrisia non sono altro che fuffa. E allora la domanda è: se dice di rispettare la legge e la legge, sulla base della quale è stato condannato, stabilisce che è ineleggibile perché non si dimette? «A questa domanda non rispondo», replica il timorato di Dio. «Farò un esame di coscienza e ci penserò», dice.
Poi c'è un altra questione. Ed è quella di opportunità politica. È opportuno che lei, parente di un ritenuto mafioso e con una condanna, sebbene non definitiva, per corruzione elettorale continui - con un'arroganza imbarazzante - a ricoprire un ruolo all'interno di un'istituzione? E poi: in una città che a parole dice di perseguire la legalità e di essere pronta alla collaborazione, la prefettura dov'è? A parte l'organizzazione di tavoli di confronto, la longa manus del ministero dell'Interno intende svolgere il suo compito e fare ciò che è chiamata a fare?