Un articolo de I Siciliani di vent’anni fa. O di mille, o di ieri
Palestina/Israele, 23 ottobre 2000. La "pace" è segnata da due immagini precise, quella del giovane palestinese che agita le mani insanguinate dopo aver massacrato un soldato ebreo, e quella del giovane israeliano che se ne va compunto dopo aver torturato e ucciso - poiché anche questo è avvenuto - l'arabo che si era avvicinato troppo al suo insediamento di coloni. La pace durerà poco, tecnicamente, perché il governo israeliano lascerà tranquillamente insediare i coloni integralisti sulle terre assegnate dagli accordi agli arabi (ma già assegnate, secondo loro, 3000 anni prima a Israele) e perché il miracolo di dirigenza laica che i palestinesi erano riusciti a mettere insieme nella diaspora ormai è sempre più eroso dai nuovi dirigenti "islamici", meno civili e più popolari.
Si sono svolte in realtà in questi cinquant'anni non una, ma due guerre parallele. Una per il possesso di un territorio a cui entrambe le parti avevano qualche diritto, se non giuridico, umano; e questa è stata la guerra dei fucili; l'altra per l'affermazione di un'identità tribale ricavata da testi antichissimi e feroci; e questa è stata la guerra delle atrocità, in cui ciascuno accusava l'altro delle cose più inumane, e ciascuno dei due aveva ragione. Gli uomini della prima guerra - gli Arafat, i Nasser, i Rabin, i Ben Gurion - oramai sono morti o sono vecchi. I giovani, quelli che si riproducono ora, appartengono tutti alla seconda guerra, quella atroce. E non poteva essere diversamente perché l'odio a un certo punto diventa un valore in sé, non ha più bisogno di alcuna - men che mai razionale - giustificazione.
È impossibile, adesso, augurare di vincere a qualcuno, perché chi vincerà vincerà per uccidere, non per restare vivo. L'innovazione tecnica, in questa fase, sono stati i bambini: col grembiule di scuola, coi capelli sporchi, con le gambe nude. Hanno invaso prepotentemente le statistiche dei morti sparati (a quanto pare non è difficile far collimare nel mirino, tenendo fermo il fucile, il corpo lontano di un bambino) e torneranno a farlo, da questa volta in poi, perché dalle atrocità nuove, in tempo di bestie, non si torna mai indietro. Ma neanche i bambini sopravvissuti cresceranno umani, perché forse nessuno può più essere umano laggiù. Nelle dichiarazioni ragionatrici dei capi politici, esattamente come nei visi di manifestanti e coloni, si scorge infatti qualcosa non di sbagliato o di malvagio, ma di mutante. Come se parlassero e agissero sotto l'influsso di radiazioni.
E questo è toccato a due popoli che erano l'uno il fiore civile e laico del mondo arabo, l'altro il cuore pulsante dell'Europa. Avevamo bisogno - noi bianchi ricchi dell'ovest e, quando c'era un est, dell'est - di qualcuno che tenesse le nostre trincee laggiù, che piantasse su quella sabbia le bandiere dei nostri assurdi antropofagi imperi. Abbiamo trovato israeliani e palestinesi, e li abbiamo messi lì a puntellare. Alla fine gli imperi sono crollati o vanno marcendo dentro. Ma i nostri androidi sono ancora lì (essi, che prima di noi erano esseri umani) e si uccidono a vicenda, come gli abbiamo insegnato.
Catena di San Libero, 23 ottobre 2000 - n.45, I Siciliani