La striscia di terra da cui tutti (sbagliando) prendono esempio senza saperlo
C'è un piccolo isolotto al largo del Tirreno, in Toscana, che si chiama Giannutri. A Giannutri non hanno acqua né luce. Quest'ultima viene presa dal mare e attraverso il processo di dissalazione viene filtrato il sale. Mentre, per la corrente elettrica, si servono di combustibile fossile, l'unica fonte di illuminazione dell'isola. Che serve le abitazioni e le uniche due attività commerciali presenti sull'isola dell'arcipelago toscano. Entrambe le cose, però, non sono esenti da criticità. Il processo di rifornimento di acqua dal mare è una soluzione efficace, ma che nel lungo periodo rischia di diventare un problema perché il macchinario che aspira l'acqua provvede a depurarla e a eliminare il sale, che poi viene gettato nuovamente in mare. Con la conseguenza che si realizza una sproporzione tra quantità di acqua e di sale. Ovvero tra solvente e soluto. In chimica, in un liquido la quantità di soluto è sempre inferiore alla quantità di solvente. Quando questo rapporto si inverte, la soluzione perde gradatamente il suo stato liquido. In concreto, praticamente a Giannutri l'acqua è più salata del dovuto. Con tutti gli effetti che ne derivano.
Se si pensa che stiamo parlando di un processo che va avanti da anni in quella che è comunque un'area marina protetta, diciamo che l'impatto ambientale di questa pratica è molto alto. Così com'è altrettanto alto il rischio di perorare le cause che stanno distruggendo l'ambiente continuando a derivare la corrente dal petrolio. Peraltro con lo stesso meccanismo delle colonnine elettriche che, nelle città metropolitane, stanno affermandosi come sistema alternativo per l'alimentazione dei veicoli a basso impatto ambientale. Che di basso impatto ambientale non hanno proprio niente. L'unico effetto è che si toglie il petrolio dalle macchine e si mette nelle colonnine. Praticamente in Europa si sta prendendo esempio da Giannutri. Solo che Giannutri è un'isola in mezzo al mare con trenta abitanti. L'Europa è un continente ben collaudato. Ma che a quanto pare millanta una tendenza all'inversione di rotta green, quando di green non c'è proprio nulla. Se non il colore di certe colonnine elettriche.
L'acqua a Giannutri è limpida. Le coste sono circondate da scogli appuntiti e ispidi e su di essi si posa una quantità considerevole di ricci. Qualcuno però non manca di lamentare la presenza di numerose alghe e l'inquinamento derivante dagli scarichi dei tanti barchini che ormeggiano nelle uniche due cale accessibili dell'isola. Che, in realtà, di cale ne ha ben sette. Ma solo due sono aperte al pubblico. Perché a Giannutri, in effetti, non è che ci sia molto da fare. E tutto sembra proibito. «La gente viene qui per rilassarsi», mi spiega una dei circa trenta abitanti. Nella parte occidentale dell'isola si staglia una domus romana, ma anche questa è inaccessibile. «La villa romana è chiusa, è visitabile solo con le guide», mi dice la receptionist dell'albergo in cui ho alloggiato quest'estate per una notte (il costo, proibitivo, non ve lo dico). Ma le guide non ci sono. «Dovremmo chiamarle noi dal Giglio (l'isola più nota a poche miglia di distanza da Giannutri, ndr), ma non ci va», è il tenore della spiegazione. Insomma a Giannutri si respira una strana atmosfera. Che si percepisce subito, non appena si scende dal traghetto. O, per chi come me non è così fortunato da arrivare a prendere il traghetto, non appena si scende dal gommone.
Proprio sul tragitto da Porto Santo Stefano all'isolotto ho conosciuto Roberto. Un uomo tutto d'un pezzo. Della guardia costiera, adesso mette a disposizione dei turisti un servizio di traghettamento in gommone. Un Caronte dei giorni nostri, ma a un prezzo esagerato. Non so quanto abbia pagato Dante per attraversare gli inferi, ma se ci fosse stato Roberto sono sicuro che anche il sommo poeta ci avrebbe pensato due volte prima di imbarcarsi. Io, però, ho la testa dura. E mi sono imbarcato. Venti minuti di traversata in cui Roberto mi ha spiegato bellezze e criticità del posto. «Vedi - mi dice indicandomi con il dito il sistema di navigazione -, al momento siamo proprio al centro del triangolo formato dalle tre isole, Giglio, Giannutri e l'Elba, come quello delle Bermuda». Simpatico Roberto, ma mettere a suo agio non è proprio il suo forte. «Qui il turismo non va per niente bene, figurati che solo io faccio questo servizio», mi dice. E se lo fa pagare pure abbastanza. Quel simpaticone di Roberto. Praticamente un monopolista del gommone che lamenta la mancanza di concorrenti. Una cosa mai vista. Però simpatico Roberto.
A Giannutri c'è un campo di calcio. Gli abitanti lo definiscono campo sportivo. Una zolla di terra dalle dimensioni di un campo di calcio a 11 con il terreno sconnesso e fratture tra un pezzo di terra e un altro, come un'arida landa desolata. Ma c'erano dei bambini e abbiamo giocato a calcio. E tanto basta. A Giannutri c'è una piazza. Un bar-ristorante. E un minimarket. Niente più. Il bar e il minimarket pare appartengano allo stesso proprietario. In quella che pare essere una gestione familiare. Dico pare perché non ho avevo voglia di chiedere. Ma l'ho capito perché non essendoci un bancomat effettuavo pagamenti con carta. E il pos faceva la spola tra una bottega e un'altra. L'una accanto all'altra. C'erano più o meno venti clienti e il personale correva con questo pos in mano. Sembrava di essere nel bel mezzo del monologo sulla banca, che è tra i migliori pezzi di Enrico Brignano. «Lei che vuole, non vede che ci siamo fusi, ci siamo fusi», ironizza Brignano sulla procedura, sempre più in voga, di fusione delle banche.
Lo stesso clima si respirava lì, a Giannutri, in piazza, con dieci persone e un pos. «Potrei avere una birra?», chiedo quasi imbarazzato. Non volevo turbare la fusione quasi nucleare. «Certo, sette euro», mi rispondono. Minchia, 'sto reattore deve costare veramente tanto. Il giorno seguente vedo il titolare fare la spola da una bottega all'altra. In mano stavolta non aveva il pos, ma un'aragosta di non so quanti chili. Gigante e ancora viva. Era entusiasta. Non l'aragosta, ma il titolare. Fermava ogni singolo villeggiante: «Avvocato venga a vedere il pesce che abbiamo pescato. L'ha visto il pescato del giorno, dottore? Signora Coriandoli entri, entri a vedere quanto pesce c'è». Sembrava Paperon de Paperoni nella piscina di monete. Così, a me che il pesce proprio non piace - tranne la pasta con le vongole -, ma di sicuro non l'aragosta, soprattutto se si muove, non mi rimaneva che scroccargli quattro sigarette e andare via. Sì, perché a Giannutri non c'è nemmeno un tabacchi. «Le sigarette arrivano ogni tanto», mi spiegano. In quei due giorni ne fosse arrivato anche mezzo pacchetto. Niente, nemmeno l'ombra.
Ma allora, si può sapere chi ti ci ha portato a Giannutri? E perché ci sei andato? Bella domanda. Non so ancora dare una risposta. Forse, un giorno, la risposta arriverà. Nel frattempo però c'è una cosa che mi ha colpito. E che forse è valso il viaggio. Si tratta di un quadro. Un dettaglio di un quadro che non avevo mai notato prima. Il quadro era una copia di uno dei dipinti della collezione Ninfee di Claude Monet. Era nella mia stanza, appeso di fronte al letto. La sera - nonostante il sistema elettrico efficiente - a Giannutri non c'è luce. E non c'è niente da fare. L'unico divertimento, per dire, è fare la fila davanti a una panchina. Uno dei due, forse tre posti in cui prende il telefono. Io quella sera non ci avevo proprio voglia di fare la fila davanti alla panchina telefonica. Così sono rimasto in albergo.
Ho visto il quadro. Non l'avevo mai guardato con attenzione. E ho scorto un dettaglio. Forse insignificante e che vedo solo io, ma che mi ha fatto riflettere: due volti proprio al centro del quadro, uno di fronte all'altro. Uno di colore bianco e l'altro blu notte. Quello blu sembra stia praticamente divorando quello bianco. E io ci ho visto una bella contrapposizione tra bene e male. E, ahinoi, pare che il male stia vincendo. E la colpa è solo ed esclusivamente del bene. Ma questa è un'altra storia.