«Abbiamo un ruolo fondamentale, ma non ci viene riconosciuto»
Ci sono ex muratori, pizzaioli, elettricisti e speaker radiofonici. Perlopiù di età adulta, ma si incontra anche qualcuno più giovane. Si parla di frequenze, di ampiezza del segnale e dei canali. È un mondo sconosciuto ai più quello dei radioamatori, ovvero le persone autorizzate alla trasmissione radio, che hanno conseguito la patente e la successiva autorizzazione generale da parte del ministero delle Telecomunicazioni. Per farlo ci si deve sottoporre a un esame di ammissione e ad alcuni contest nel corso dell'attività radioamatoriale.
Sabato e domenica si è tenuta a Caltanissetta la fiera regionale dei radioamatori, un'occasione per dare un volto alle voci amiche ascoltate attraverso la radio, conoscere nuovi adeguamenti delle apparecchiature più antiquate, scambiarsi le attrezzature e fare sfoggio di quelle autocostruite. Perché i radioamatori sono principalmente dei tecnici. Gli stessi, talvolta in servizio come volontari anche nella Protezione civile, che in caso di emergenza dovuta a una calamità naturale hanno il compito di avvisare la prefettura sullo stato dei luoghi. Un ruolo, però, spesso non riconosciuto e talvolta bistrattato. Il nostro viaggio nel mondo delle telecomunicazioni analogiche comincia da Catania. A farci da cicerone è Salvatore Panebianco, caposquadra della protezione civile di Mascalucia e radioamatore da trent'anni, nel mondo radioamatoriale identificabile con la sigla IT9IFV.
«La gente pensa che noi radioamatori passiamo il tempo, ma in realtà senza di noi, nessuno sarebbe in grado di comunicare in caso di emergenza». Durante il viaggio in direzione Caltanissetta, in una Catania-Palermo ridotta sempre peggio, si parla. Salvatore spiega cosa vuol dire essere un radioamatore e quali sono le responsabilità a cui si va incontro. Un enorme impegno non ricambiato né da contributi pubblici, né tanto meno da qualche forma di profitto. «Eppure, come già successo in passato, in caso di terremoto o di altra calamità, le linee digitali sono le prime a crollare», dice Salvatore. Ed è qui che subentra la necessità di avere dei tecnici che sappiano utilizzare i ponti radio. Gli unici che permettono una comunicazione stabile quando è impossibile ricorrere ad altre forme di comunicazione.
Non appena arrivati Salvatore saluta gli amici, quelli di cui conosce il volto. E si presenta, invece, con chi riesce a ricordare solo il tono della voce, perché sebbene anni di conversazioni radiofoniche, non li ha mai visti di persona. Nel frattempo si parla di attrezzature, di altri radioamatori e di antenne. «Ci sono diversi tipi di antenne - spiegano nel capannello di persone formatosi attorno a Salvatore -, si parte dalla semplice verticale, per poi arrivare a quella con le corna». Per la maggior parte sono antenne che i radioamatori costruiscono da sé, aggiungendo parti nuove ogni volta che risentono della necessità di allungare il segnale. Talvolta si usano anche le canne da pesca come base per sollevare l'antenna e aumentarne l'ampiezza.
Ma c'è un però. «Qualunque tipo di antenna, anche quella più grande, nulla può se non c'è propagazione», dice Salvatore. Ovvero la diffusione del segnale elettromagnetico nello spazio attraverso le onde radio. In altri termini: l'interazione dei segnali elettromagnetici con l'ambiente circostante. In questo senso, se le condizioni atmosferiche non sono agevoli, anche il segnale non arriverà. A incidere, tra le altre, sono il vapore acqueo, l'umidità e la frequenza di piogge. Tutti fattori che possono ridurre o addirittura azzerare la propagazione del segnale. Per questo, per far parte del mondo radioamatoriale, servono anni di pratica e l'acquisizione di alcuni precetti della fisica. «Abbiamo un ruolo importante, ma non ci viene riconosciuto», conclude Salvatore.