La gestione del parcheggio della spiaggia libera Vulcano
Alberi anneriti dagli incendi e una quantità impressionante di rifiuti: lastre di amianto, materiale di risulta, sfalci di potatura, sacchi di calcestruzzo, apparecchi elettronici e persino qualche divano. Alcuni completamente bruciati. Sulla strada statale 114 non ci sono solo edifici diroccati. Nella prosecuzione di viale Kennedy, di fronte alla spiaggia libera numero 2 e davanti a un'area militare, ci sono tre terreni. Tutti ricolmi di spazzatura. Uno di questi è il parcheggio della spiaggia libera Vulcano, così come denominata nel capitolato dell'appalto quinquiennale relativo alla gestione del litorale. La striscia di terra dà accesso a due terreni agricoli confinanti, le particelle 509 e 510, di proprietà dei privati. I cui confini, prima segnati dagli alberi, adesso sono marcati da tonnellate di immondizia.
Dalle prime ore del mattino fino a tarda sera il viavai di auto sorprende se si considera che a parte tonnellate di rifiuti non c'è molto altro da vedere. Eppure all'imbrunire, nella via che dal parcheggio immette all'interno degli appezzamenti, il traffico si moltiplica. Lunghe code di veicoli in entrata e in uscita occupano una strada che non ha sbocchi. Le luci dei fanali delle auto che percorrono il sentiero sono l'unica fonte di illuminazione del tratto di strada che conduce all'Oasi del Simeto. «Viene chiunque, i rifiuti non li scaricano solo comuni cittadini ma anche gli operatori di alcune ditte - sostiene chi su quei terreni pascola le proprie pecore -, e la sera vengono gli scambisti. C'è proprio di tutto». Una volta immessi nella via, qualche conducente che ha già percorso tutto il sentiero, torna indietro, suona il clacson e abbassa il finestrino. La richiesta è immaginabile. È l'ennesima zona della città in cui il controllo dello Stato pare non esserci. La questione è stata sollevata da un articolo de La Sicilia circa un mese fa. Ma da allora nulla è cambiato.
I terreni privati
Gli appezzamenti sorgono tra il litorale e altri terreni a cui si accede da contrada Pantano, una traversa privata di via San Giuseppe alla Rena, la strada piena di immondizia parallela a viale Kennedy, che dà accesso a uno dei terreni incolti su cui insistono quelli che sembrano i resti di un acquedotto romano. Terreni privati su cui il Comune non può mettere mano, se non previa diffida ai proprietari e, in caso di inosservanza, provvedere con propri mezzi alla bonifica. Il pagamento dell'intervento - che in questo caso sarebbe straordinario perché effettuato in una zona di cui non è competente territorialmente il Comune -, andrebbe poi saldato dai privati su sollecitazione di palazzo comunale.
I terreni pubblici
Se questo è il quadro per quanto riguarda i terreni privati, le cose cambiano per la particella 2130. Un'area di circa settemila metri quadri di cui tremila - come risulta dal capitolato d'appalto - sono impiegati come parcheggio, la cui gestione è affidata dal Comune di Catania alla Stella polare srl. L'area di sosta è il frutto di due operazioni catastali di riordino fondiario e di frazionamento che hanno provveduto ad accorpare diverse particelle. Così delle sei precedenti, ne sono rimaste solo due: la 1459 e la 2130. La prima è stata di proprietà del demanio pubblico dello Stato, ramo marina mercantile, fino al 2005 quando a seguito del frazionamento effettuato dal Comune di Catania, è stata soppressa. Nonostante risulti ancora sul Sid, il portale cartografico del mare. L'altra è invece quella che è stata estesa a seguito del successivo riordino fondiario. La stessa che viene utilizzata come parcheggio. Esclusa la competenza delle Istituzioni nei terreni dei privati (fatta sempre salva la possibilità di rintracciare i proprietari e diffidarli alla bonifica o, ancora, comprare i terreni, magari per la realizzazione di un parco pubblico), resta da capire chi, tra frazionamenti, riordini fondiari e concessioni, abbia la competenza a bonificare il parcheggio. Sul punto questo giornale ha ricevuto rassicurazioni di futuri chiarimenti dalle autorità competenti.