Il Pezzo Etneo

Il caso Mario Ciancio, La Sicilia e la richiesta di condannarlo a 12 anni
«Non fa notizia». Siciliani: «Sarebbe riscatto per una città martoriata»
Redazione,  21 Marzo 2023
«Nessuno, anche in caso di condanna, manderà Ciancio, ormai novantunenne, in carcere, ma la condanna sarà il risarcimento morale a una città mortificata, soggiogata, resa carne da macello da decenni di potere criminale e borghesia mafiosa», è la posizione espressa in una nota de I Siciliani giovani

Che a La Sicilia qualcosa stia cambiando lo dicono tutti. Lo dicono i giornalisti e lo dicono i politici. Qualcuno sostiene addirittura che lo dimostrino i fatti. C'è chi si appoggia alla nuova direzione guidata da Antonello Piraneo, chi al grande lavoro dei professionisti, chi al grandissimo lavoro dei nuovi professionisti. Chi, ancora, al cambio ai vertici del giornale con i rumor, tutti all'interno del mondo giornalistico, di una nuova visione promulgata dal figlio di Ciancio, Domenico. Che avrebbe preso il posto del padre nella gestione editoriale del giornale. E le chiacchiere su chi, tra i politici, possa intestarsi questo 'nuovo' giornale, pullulano. Ma i più sostengono che ci sia tanto destra quanto sinistra. Anche se la sinistra si sarebbe avvicinata da poco. Almeno quella vera. Di Enzo Bianco, candidato sindaco dei moderati, invece, se ne discuteva già qualche tempo fa. Se ne parla ancora oggi. E se n'è discusso anche nelle aule di giustizia. Nel frattempo, mentre si vocifera di un cambiamento e di un Ciancio, ormai 91enne costretto dal figlio in casa, il processo per concorso esterno in associazione mafiosa continua. I pm hanno chiesto una condanna a 12 anni per l'ex direttore ed editore de La Sicilia per un'inchiesta che verte su rapporti con esponenti di spicco di Cosa nostra etnea. Così i ricordi di un passato che, purtroppo o per fortuna, condiziona ancora il presente della città ritornano alla mente dei tanti che quel periodo l'hanno vissuto, tra la mancata pubblicazione del testamento di Beppe Montana e la pubblicazione delle lettere di Santapaola e Cappello. «È l'ennesima richiesta di condanna, non credo faccia notizia», è il commento di Ciancio alla richiesta degli inquirenti. «La vera notizia è che dopo questi ingiusti attacchi continuo a godere di ottima salute, e non è affatto scontato», dice chi, come Ciancio, è stato definito dai pm «una delle persone più potenti di Catania se non di tutta la Sicilia».

La condanna non è l'unica richiesta avanzata dalla procura di Catania. I pm Agata Santonocito e Antonino Fanara, ieri a conclusione della requisitoria del processo per concorso esterno all'imprenditore, hanno chiesto anche la confisca dei beni che gli erano stati dissequestrati, compresi i 40 milioni di euro in conti bancari. Per una requisitoria che ha fatto il punto sugli anni settanta, quando il potere mafioso a Catania era amministrato da Pippo Calderone, poi fatto fuori. Un omicidio a cui è seguita l'ascesa di Nitto Santapaola. Il dissequestro dei beni stimati in 150 milioni di euro era stato disposto dalla Corte d'Appello di Catania ed è poi diventato definitivo il 22 gennaio 2022, quando la Cassazione ha rigettato il ricorso della procura. L'udienza è stata aggiornata a lunedì con l'intervento in aula delle parti civili: i fratelli del commissario Beppe Montana, assistiti dall'avvocato Goffredo D'Antona, l'Ordine dei giornalisti di Sicilia, rappresentato dal penalista Dario Pastore, e il Comune di Catania.

«Ci sembra assolutamente provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Ciancio già dalla metà degli anni '70 ha avuto un diretto rapporto con soggetti apicali dell'associazione mafiosa», è la posizione espressa in una nota de I Siciliani giovani, il giornale diretto da Riccardo Orioles, in redazione con Pippo Fava ai tempi in cui il giornalista è stato ammazzato dalla mafia. «Un rapporto stretto sulla base di un patto che era sicuramente illecito - continua la nota - ed è sempre stato considerato un amico e una persona a disposizione dell'associazione mafiosa». Per questo «chiediamo che il Tribunale lo condanni, che siano considerate sussistenti le aggravanti contestate, ossia quella dell'associazione armata e quella consistente all'assumere e mantenere il controllo dell'attività economica e che sia disposta la confisca dei beni e delle quote societarie, la confisca di alcuni immobili e la confisca per equivalente delle somme che erano contenute in conti correnti che, sommati, ammontano a quaranta milioni di euro». Perché «nessuno, anche in caso di condanna, manderà Ciancio, ormai novantunenne, in carcere - conclude la nota -, ma la condanna sarà il risarcimento morale a una città mortificata, soggiogata, resa carne da macello da decenni di potere criminale e borghesia mafiosa».

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