L’asse Calabria-Sicilia, il figlio del boss Fichera e ‘la Parigi’ della droga
Tra la primavera 2020 e l'inverno 2021, fino agli inizi del 2022 a Messina arrivano fiumi di droga. Si tratta di cocaina e marijuana provenienti direttamente dalla Calabria. Prima il blitz Scipione e adesso una seconda operazione, avviata a seguito del contributo di alcuni collaboratori di giustizia, sono riuscite a tracciare i movimenti del traffico di droga gestito dalla presunta stabile organizzazione messinese capeggiata dai fratelli Paolo e Antonino Settimo e da Giovanni Cacopardo. Quest'ultimo dipendente della ditta di costruzioni Vadalà di Messina che, secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sarebbe legato legato ad ambienti criminali di Bisconte e Cataratti. A 'tradire' è stato Gianfranco Bonanno, divenuto collaboratore di giustizia dopo l'arresto avvenuto ad aprile 2021 nei territori di Santa Lucia sopra Contesse (abitazione di Antonino Settimo e base operativa dell'organizzazione) e Camaro, per quello che è un imponente traffico di cocaina, marijuana e skunk accompagnato dall'utilizzo di armi da fuoco. Secondo la ricostruzione degli inquirenti nelle carte dell'inchiesta che nella notte tra giovedì e venerdì ha portato all'esecuzione di 15 misure cautelari - di cui undici arresti in carcere e quattro ai domiciliari -, i calabresi non sarebbero sempre stati fornitori affidabili. Per questo i fratelli Settimo si sarebbero dati da fare per cercare altri partner. In questa circostanza diventa fondamentale il rapporto con 'Anto'. Così Settimo aveva salvato il nome del catanese Antonino Fichera, figlio del boss del clan Cappello-Carateddi Sebastiano - assassinato per volontà dei Santapaola a seguito della faida con la consorteria avversaria - e Agata Aurichella.
I rapporti con i calabresi Ariganello e De Cicco Cuda
Ventotto anni, Fabio Ariganello sarebbe andato di frequente da Rosarno a Messina a fare visita a Paolo Settimo. La sua Wolkswagen T-Roc grigia è stata più volte catturata dalle telecamere dell'abitazione dello stesso Settimo, poi visionate dagli inquirenti. Anche lui, come Settimo, sarebbe stato un professionista dell'edilizia, addirittura con una propria impresa di costruzioni. Residente a Rosarno è indagato per aver ceduto ai Settimo complessivamente circa 800 grammi di cocaina. È il 10 novembre del 2021 quando Cacopardo e Settimo parlano di Ariganello. «Poco fa ha telefonato, perché voleva sapere e io gli ho detto portane uno, dice che mi ha mandato un pacco di 800 euro, ma dice: "Non ho preso quella bella, ma quella più brutta che c'era"», raccontava Settimo intercettato. Un modo per dire che la qualità non era alta, ma il prezzo era abbordabile. Circostanza, questa, che ha fatto trasalire i due interlocutori. «Giovanni c'è poca coca cola, può essere che l'ha comprata a 34 e mezzo, la compra a tanto, cento per cento», spiegava Settimo a un sorpreso Cacopardo. «Dovesse morire mia madre, quanto voglio bene ai miei figli - replicava Cacopardo - e io come un disgraziato gli do i soldi, la compra a 36 sono convinto e la compra nello stesso paese e c'è qualcosa che non va, ci sono un sacco di cose in mezzo, troppe». Un altro interlocutore dei messinesi era Giovanni De Cicco Cuda. Sarebbe stato lui a cedere a Cacopardo circa quattro chilogrammi di stupefacente in cambio di 104mila euro attraverso diversi incontri avvenuti nell'abitazione della madre di quest'ultimo. Una cifra che però rappresenterebbe solo l'acconto del totale pattuito e che poi è stata trovata in possesso di Cuda dagli agenti di polizia di Villa San Giovanni, divisa in sei mazzette. Al rinvenimento è seguito l'arresto che ha mandato su tutte le furie Cacopardo. «Io potevo capire se uno si deve prendere i soldi, ma è partito prima con la tracolla, l'ho portato dove non lo dovevo portare. O veniva con una macchina oppure con una femmina». Invece De Cicco Cuda si era recato a Messina con il suo motorino, lo stesso che gli inquirenti avevano già identificato e tracciato.
La Parigi delle droghe: il momento in cui Cacopardo decide di cercare altri fornitori
A dicembre 2021 la cocaina si comprava dai calabresi. Nello specifico a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Il 19 dicembre gli inquirenti intercettano una conversazione tra Cacopardo e chi ricopriva il ruolo di corriere dell'organizzazione, Giovanni Cucinotta. Si parla di cocaina di alta qualità e dal forte odore al punto da chiamarla la Parigi delle droghe. La preoccupazione era se fosse stata di gradimento dei clienti. «Ti stavo dicendo compare, come ti sei trovato», chiede Cacopardo a Cucinotta. Che si trattasse di cocaina lo si evince dalle stesse conversazioni captate dalle microspie quando Tonino Settimo dice a Cacopardo che ha «un bordello di cocaina a casa». Infatti nei giorni precedenti erano stati proprio Cacopardo e Settimo a fare una prova qualità. «Prendi questa cosa, vediamo, gli do una botta», è l'invito rivolto da Cacopardo a Settimo. «No di quella vecchia, la Parigi - proseguiva -, compare novemila euro sono, non me ne dare assai che sto prendendo gli antibiotici, una botta piccola mi faccio». In questo caso la droga sarebbe arrivata da Rosarno, dove è residente Ariganello. Lo stesso luogo in cui giorni prima era stata eseguita un'operazione di polizia denominata Cavalli di razza che ha condotto all'arresto di 104 persone ritenute vicine alla cosca Mole attivi in Lombardia, Toscana e Calabria che si sarebbero occupati di armi e droga importata dal Sud America. Tre giorni prima però la preoccupazione che il carico non arrivasse a destinazione era palpabile. «Pensavo che proprio restavamo a zero - esclama Cacopardo in una riunione tenutasi a casa di Settimo - Devi trovare perché non può rimanere fermo (lo spaccio, nda). Perché poi ora, che perdo tutte le persone, gli altri lo hanno il materiale». Per questo motivo i fratelli a capo del giro di droga si sarebbero rivolti a un catanese dal volto barbuto.
Il ruolo di Fichera e il viaggio per acquistare la cocaina a Catania
«Andrea vuole cento euro di cosa». «Sì, se non ne abbiamo come gliela diamo?». «Dove ca... possiamo andare?». Tonino e Paolo Settimo sono agitati. C'è fermento nell'organizzazione perché i clienti sono sempre più esigenti, ma a seguito dei ritardi dei calabresi, loro sono rimasti con nulla in mano. «A Catania gliel'ho detto, non ne ha, ce ne può dare duecento grammi», racconta Antonino al fratello, che replicava: «Ma quello con la barba?». «Eh, io gli ho detto di darmene un chilo». Un uomo barbuto identificabile in Antonino Fichera che, come emerge dalla conversazione su Telegram, avrebbe assicurato ai Settimo la cessione di un chilogrammo di cocaina prima a 38 euro al grammo, poi dopo la contrattazione, scontata al prezzo di 36 euro a patto però che fossero i fratelli a dirigersi a Catania per prenderla. Se Antonino Settimo ha intavolato la trattativa, al fratello Paolo, è toccato recarsi a prenderla dai catanesi. Poi raggiunto dall'«amico in comune» dei due gruppi, Salvatore Culici. Colui che avrebbe avuto il compito di trasportare il quantitativo fino a casa di Settimo. Il giorno successivo però, in conseguenza della carenza della sostanza sul mercato, Fichera avrebbe avvisato di potere fornire solo 200 grammi a dispetto del chilogrammo promesso. Che poi però sono diventati 90, in quello che è stato un viaggio non privo di inconvenienti. Come la foratura di uno pneumatico da parte del corriere catanese, poi soccorso dallo stesso Settimo: «Questo si è partito da Catania per portarmi novanta grammi di cosa - racconta Paolo Settimo alla moglie Nunzia Costa -, ma ha scoppiato, ha scoppiato veramente, io pensavo che mi stavano prendendo in giro». Dal 2021 a febbraio 2022, complessivamente Fichera avrebbe ceduto ai messinesi circa dieci chilogrammi di cocaina.
Chi è Antonino Fichera
Ventitrè anni, Antonino è il figlio del boss del clan Cappello-Carateddi Sebastiano Fichera, ucciso il 26 agosto del 2008, per volere dei Santapaola a seguito della faida tra consorterie mafiose. Tre mesi dopo, l'8 novembre dello stesso anno, i sicari del clan Cappello raggiungono e uccidono Giacomo Spalletta, dei Santapaola. In quella che è balzata agli onori delle cronache come una vendetta di mafia. Quarantuno minuti dopo fu il boss Sebastiano Lo Giudice ad avvisare la moglie di Fichera Agata Aurichella, che giustizia era stata fatta. Circostanza che avrebbe trascinato i familiari in manifestazioni di giubilo ed euforia: «Adesso c'è chi ti fa compagnia», fu l'esclamazione della famiglia sulla tomba di Fichera. La figura di Aurichella ritorna a riempire le pagine delle ordinanze quando, come in questo caso, il figlio Antonino comincia a utilizzare il telefono in uso alla madre per gestire l'attività di spaccio di sostanze stupefacenti.
Gianfranco Bonanno: lo spacciatore della Messina bene, ma anche il pentito che ha permesso l'operazione
«All'inizio acquistavo da Cacopardo dai cinquanta ai centocinquanta grammi di cocaina al mese che poi immettevo nel mercato della Messina bene, spacciavo in autonomia a circa 15, 20 ragazzi che la usavano, me la levavo (la vendevo, nda) sempre da solo senza collaborazione di terzi». Giovanni Bonanno, meglio noto come Gianfranco, conosce Cacopardo nel 2006 grazie alla mediazione di Salvatore Pulio, socio di Cacopardo nell'acquisto e nella divisione della droga a Palermo. La trama di rapporti continua fino al 2009, in occasione del primo arresto di Bonanno, quando nella zona di via Santa Maria Alemanna, nel messinese, riceve 100 grammi di cocaina da Cacopardo. «Mi arrestarono subito dopo», racconta Bonanno agli inquirenti. Scontata la pena Bonanno avrebbe continuato a vedere Cacopardo che «mi consegnava dai dieci ai quindici grammi di cocaina a settimana». Non solo droga, però. Stando alle dichiarazioni di Bonanno, Cacopardo che di professione lavorava per la Vadalà costruzioni di Messina, tra il 2007 e il 2009 avrebbe perfino garantito la messa in regola del nipote di Pulio, Francesco Cirillo. «Cacopardo - si legge nell'ordinanza - aveva autonomia decisionale per le assunzioni delle maestranze e chiese a Vadalà di mettere in regola "Francesco nostro" e di fargli fare i lavori di carpenteria». Riguardo ai catanesi «Cacopardo mi disse che da loro riceveva lo skunk, lo buttavano dal viadotto dell'autostrada nel punto di incrocio tra Cataratti e Gravitelli», è il tenore della dichiarazione di Bonanno agli inquirenti. Mentre il rifornimento avveniva tra la Sicilia orientale e la Calabria, il traffico aumentava e gli affari si facevano più grossi. Circostanza che avrebbe generato entusiasmo nei sodali del gruppo. La preoccupazione era che qualcuno potesse condurre una vita dall'alto tenore al punto da suscitare più di un sospetto. Come nel caso di Roberto Papale che, al pari del collega edile Marcello Nunnari, sarebbe stato socio di Cacopardo. A lui sarebbero spettati dai 50 ai 100 grami di cocaina a settimana. Gli incontri si sarebbero tenuti a Cataratti, di fronte la Chiesa, dove Nunnari ha realizzato un bar con sala giochi e centro scommesse. «Ma Cacopardo lamentava sempre che Papale avesse un tenore di vita troppo alto», è tra le rivelazioni di Bonanno.